È molto interessante notare come i pregiudizi dei cristiani ebrei cedessero lentamente, e tuttavia quanto fossero suscettibili alle prove man mano che apparivano. Gli apostoli ei fratelli a Gerusalemme sentivano che Pietro aveva fatto un passo sbagliato, ma quando enunciato tutti i fatti del caso e si rese conto che l'opera era davvero quella dello Spirito, misero da parte i loro pregiudizi e seguirono la luce.

L'apparente calamità della dispersione all'estero dei cristiani si è realmente manifestata nel grande movimento missionario che occupa praticamente tutta la restante parte del libro. Ad Antiochia un'opera notevole seguì la predicazione di alcuni uomini con il risultato che la Chiesa di Gerusalemme vi mandò Barnaba.

Ciò che vide gli rallegrò il cuore e, rendendosi conto dell'importanza del movimento, si recò a Tarso in cerca di Saulo. Seguì poi un anno di lavoro ad Antiochia sotto la direzione di questi uomini.

Agabo compare qui, e ancora una volta nella narrazione (21,10). In entrambe le occasioni lo si vede esercitare il dono profetico nel suo elemento predittivo. Una carestia che ha annunciato è questione di storia. Ciò che è prezioso nel documentarlo nei sacri annali è che si trattava di una crisi che ha fatto emergere il vero spirito cristiano di questi cristiani gentili. Non c'è dubbio che fossero consapevoli del sospetto dei fratelli ebrei; eppure ognuno di loro, secondo la sua abilità, contribuì al sollievo che era stato inviato da Barnaba e Saulo ai sofferenti di Gerusalemme.

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