E l'Eterno disse a Giosuè: "Non temere a causa loro, poiché domani, a quest'ora, li consegnerò tutti gli uccisi davanti a Israele; tu taglierai i loro cavalli e brucerai i loro carri con il fuoco".

Domani, a quest'ora. Poiché era impossibile marciare da Ghilgal a Merom in un giorno (Josephus dice che "fu una marcia di cinque giorni"), dobbiamo supporre che Giosuè si stesse già muovendo verso nord, e a una distanza di un giorno dall'accampamento cananeo, quando il Signore gli diede questa certezza di successo. Con caratteristica energia fece un'improvvisa avanzata, probabilmente durante la notte, e 'l'indomani cadde' [yapªluw; Septuagint, exepesan ep' autous,] su di loro come un fulmine, quando si dispersero [Settanta, en tee horeinee] lungo le alture, prima che avessero il tempo di radunarsi nella pianura. Nel panico improvviso «il Signore li consegnò nelle mani d'Israele, che li percosse e li inseguì». Si dice che il luogo dell'attacco fosse ( Giosuè 11:7) dalle "acque di Merom". Giuseppe dice: 'per Kedesh'. La rotta era completa: alcuni andarono verso ovest, oltre le montagne sopra la gola del Leonte, a Sidone il grande, la metropoli di Zidonia - "grande Zidone" (una città che si suppone sia stata fondata poco dopo il diluvio.

Era grande e prospera al tempo di Giosuè, e fiorì per molte epoche come una delle città più estese dei tempi antichi) - e Misrephoth-maim (case di fusione del vetro; secondo alcuni, "fornaci da calce;" per altri , 'brucia dalle acque'; a Kimchi, 'bagni caldi;'-il primo è il senso più probabile), nelle sue vicinanze, e altri a est nella pianura di Mizpeh [Settanta, Massooch].

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