Se ho disprezzato la causa del mio servo o della mia serva, quando si contendevano con me;

ver. 13. Se ho disprezzato la causa dei miei molti, erranti, ecc. ] I servi di un tempo (soprattutto tra i pagani) erano semplici schiavi dei loro padroni secondo la carne, che avevano il potere di usarli a loro piacimento, come facevano con il loro bestiame. Un servo (dice Aristotele) è lo strumento del padrone, e tutto il suo ολων εκεινου. Potrebbe far loro quello che vuole, dice Seneca, anche togliendo loro la vita, senza pericolo di legge.

Ma Giobbe tenne con lo stesso Seneca, che posse et nolle nobile est; e che in alcuni casi Nimis angusta innocentia est, ad legem bonum esse; che il massimo del diritto è il massimo del torto; e che in seguito verrà una resa dei conti, la cui previdenza lo sgomentò e lo indusse a fare bene i suoi servi, quando avrebbe potuto opprimerli e tiranneggiarli su di loro; come ora fanno i turchi con i loro galeotti.

Dell'arcivescovo Cranmer si dice che non si sia mai infuriato così tanto con nessuno dei suoi domestici come una volta tanto da chiamare i più meschini varlet o furfante con rabbia. Tremellio, che fu per qualche tempo ospitato in casa sua, ne dice che era schola vel palaestra pietatis et literarum, una scuola o asilo di pietà e di erudizione. E quindi che meraviglia che c'era così buon accordo tra lui e la sua famiglia, quando c'era un adempimento così attento dei doveri domestici, e non era un uomo migliore di un padrone? Pensa lo stesso di Giobbe, potrebbero verificarsi malcontenti in casa sua, e potrebbero essere avanzate lamentele, che ha ascoltato con pazienza, e poi rimettere tutto a posto, facendo in modo che potesse essere amato e temuto da tutti intorno a lui.

Continua dopo la pubblicità
Continua dopo la pubblicità