XXIII.

Sotto due immagini ugualmente familiari nella poesia ebraica - quella del pastore che veglia sul suo gregge, e del banchetto dove Geova presiede il giusto - questo salmo esprime la tranquillità e la felicità di coloro che sono consapevoli della protezione divina. Ma, secondo il modo lirico ebraico, alle immagini si mescolano dirette allusioni alle circostanze. Pensiamo quindi a qualche persona reale e a qualche esperienza reale, e non a un riferimento allegorico al ritorno del popolo d'Israele dall'esilio, o alla guida della nazione salvata dall'Egitto attraverso il deserto, che erano le modalità di spiegazione preferite tra i rabbini.

La menzione della casa di Geova sembra decisiva contro la paternità davidica, che altrimenti sarebbe affascinante accettare, respirando, come fa lo squisito verso, la freschezza e la bellezza dei primi giorni di pastore del "dolce cantore". Anche la festa, sotto gli occhi dei nemici, avrebbe potuto essere una reminiscenza di Mahanaim; ma se le fortune di Davide hanno così colorato il salmo, deve essere stato per la mente di qualche scrittore successivo. Il ritmo della poesia è tenero come il pensiero.

Continua dopo la pubblicità
Continua dopo la pubblicità