GIOBBE EVIDENZIA LA GRANDEZZA E LA SAGGEZZA DI DIO

(vv.1-25)

La risposta di Giobbe a Zofar fu comprensibilmente sarcastica: "Senza dubbio tu sei il popolo, e la saggezza morirà con te!" (v.2). Zofar aveva insinuato di avere una saggezza intuitiva come quella che mancava a Giobbe, e Giobbe giustamente lo rimproverò dicendo: "Ma io ho intelligenza quanto te; non sono inferiore a te" (v.3). Zofar, infatti, aveva detto solo ciò che era risaputo: tutti sapevano queste cose.

Giobbe sentiva il pathos di essere deriso dai suoi amici, deriso, ma giusto e irreprensibile (v.4). Era stato una lampada, che dava luce, ma ora era disprezzato nei pensieri di questi amici che stavano comodamente a loro agio, che erano pronti a deporre coloro i cui piedi scivolavano. Suggerisce persino che i suoi amici si comportassero come ladri che prosperavano, poiché stavano rubando la sua integrità e in realtà provocavano Dio mentre fingevano di parlare per conto di Dio.

Giobbe era perplesso che i suoi amici potessero essere così sicuri, riposando nella benedizione che Dio aveva fornito loro, mentre parlavano falsamente per Dio! (vv.5-6). Perché prosperarono mentre lui soffriva? Procede quindi, nel versetto 7, a mostrare molto più di Zofar, la grandezza e la saggezza di Dio. Si appella alla creazione, alle bestie, agli uccelli, alla terra, ai pesci come testimoni della grande varietà di azioni di potenza e grandezza da parte del Creatore. «Questo ha fatto la mano del Signore» (v.9).

In quella mano potente è la vita di ogni essere vivente, afferma Giobbe, e il respiro di tutta l'umanità, non solo il suo respiro, ma anche quello dei suoi tre amici. Non avrebbe permesso loro di pensare a se stessi come semplici spettatori distaccati, che potevano giudicare le cose senza essere giudicati loro stessi. Con le sue orecchie saggiava le loro parole, e gustava ciò che gli veniva dato in pasto, per scoprire se fosse appetibile o meno (vv.10-11). Così, mette da parte la professata saggezza di Zofar dicendogli che "la sapienza è con gli uomini anziani e, con la lunghezza dei giorni, l'intelligenza" (v.12).

Parlare di saggezza, invece, mette Giobbe faccia a faccia con Dio, che è infinito in sapienza e forza, ha consiglio e comprensione al di là di tutto ciò che è umano. "Se rompe una cosa, non può essere ricostruita" (v.14). Infatti Giobbe era stato abbattuto, ma non si rendeva conto che Colui che lo aveva demolito poteva anche ricostruirlo, sebbene Giobbe non potesse farlo. Se Dio imprigiona uno, l'uomo non può liberarlo, sebbene Dio possa farlo.

Dio poteva anche usare le acque come riteneva opportuno. Se trattenesse l'acqua la terra si prosciugherebbe: se mandasse un torrente d'acqua questo potrebbe provocare un diluvio travolgente (v.15). Questi due estremi si sono spesso susseguiti e gli uomini sono impotenti, anche se Dio non spiega perché lo faccia.

Sono varie le cose di cui parla Giobbe di cui dà credito a Dio, senza rendersi conto del loro significato rispetto al proprio caso. Dio aveva forza e prudenza; l'ingannato e l'ingannatore erano entrambi sotto il suo controllo (v.16), "Egli conduce via i consiglieri saccheggiati, e rende ridicoli i giudici", cioè priva i consiglieri del valore del loro consiglio: così la saggezza dell'uomo è portata a nulla, ei giudici diventano stolti: l'autorità dell'uomo diventa inutile quanto la sua saggezza.

Coloro che sono stati considerati affidabili sono privati ​​della parola, della capacità di essere di aiuto agli altri, e anche gli anziani che sono stati riconosciuti per la loro esperienza saranno privati ​​del loro discernimento (vv.17-20).

«Disprezza i principi e disprezza i potenti» (v.21). Ai principi (quelli al posto della dignità) Dio ritiene opportuno mostrare disprezzo, così contrario a ciò che potrebbero aspettarsi. I potenti li disarma, togliendo loro il potere. Se Giobbe si fosse preso del tempo per considerare il significato di queste cose, forse non sarebbe caduto così in basso nel suo stato miserabile. Vede i fatti, ma non applica le loro lezioni nel suo caso.

Dice di Dio: «Egli scopre le cose profonde dalle tenebre e porta alla luce l'ombra della morte» (v.22). In realtà Giobbe stava sperimentando le fitte delle tenebre: lui stesso non poteva scoprire le cose profonde dalle tenebre, né portare la luce dall'ombra della morte, ma si rendeva conto che Dio può farlo. Non potrebbe farlo nel caso di Giobbe? Sì, infatti, e lo fece in poco tempo.

Dio poteva e fece grandi nazioni, e poi, come riteneva opportuno, le distrusse. Poteva allargare le nazioni e guidare anche loro, ma poi togliere l'intelligenza ai capi del popolo, ridurre la nazione a un errante sentiero deserto, a brancolare nel buio senza luce, fatto barcollare come un ubriacone (vv. 23-25). Così le nazioni sono una lezione oggettiva per tutta l'umanità. Dio li benedice e diventano orgogliosi di se stessi, quindi richiedono l'umiliazione di Dio.

Continua dopo la pubblicità
Continua dopo la pubblicità