Sono carnale, venduto sotto il peccato, uno schiavo soggetto a inclinazioni peccaminose, che sono peccati propriamente solo quando sono acconsentite dal nostro libero arbitrio. C'è stata una grande disputa sia tra gli interpreti antichi che successivi, se san Paolo da questo versetto fino alla fine del capitolo parli di una persona che rimane nel peccato, o per legge di natura o per legge scritta, (che era una volta il parere di S.

Agostino) o se parla di persona rigenerata dal battesimo, e in stato di grazia nella nuova legge, e anche di se stesso quando era un fedele servitore di Dio. Questa è l'opinione di sant'Agostino in molti dei suoi scritti successivi contro i pelagiani, per i quali cita anche sant'Ilario, san Gregorio di Nazianzo e sant'Ambrogio. È anche opinione di san Girolamo, (Ep. ad Eustochium de custod.

Virg.) di S. Gregorio Magno, del Ven. Beda, e l'opinione più approvata, secondo la quale l'apostolo qui per peccato non intende ciò che propriamente è peccato, o peccato, ma parla solo di peccato impropriamente tale, cioè di inclinazione corrotta, o di natura ribelle corrotta dal peccato originale, di una contesa tra lo spirito e la carne, che resta a prova nelle persone più virtuose: di cui si veda ancora S.

Paolo, Galati v. 17. Possiamo notare che l'apostolo prima parlava di ciò che era e di ciò che era stato, ma ora parla nel tempo presente di ciò che è e di ciò che fa. (Witham) --- La legge è detta spirituale: 1°, perché prescrive ciò che appartiene allo spirito, e all'uomo spirituale: cioè seguire la virtù ed evitare il vizio: 2°, perché dirige l'uomo al culto di Dio, che è spirito e verità: 3°, perché non può essere adempiuta dagli uomini spirituali, se non mediante lo spirito e la grazia: 4°, perché dirige lo spirito dell'uomo e lo dispone propriamente verso Dio, verso il prossimo e verso se stesso: e infine, perché la legge, che è la legge della grazia e dello spirito. (Menochio)

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