Questo capitolo va letto alla luce di tutto il movimento divino che stiamo cercando di tenere a mente. La migrazione di Giacobbe e dei suoi figli in Egitto è qui chiaramente indicata come parte del programma di Dio. A questo punto Dio apparve e gli ordinò di non temere, facendogli una triplice promessa. Primo, che ne facesse una grande nazione là, cioè in Egitto. Quanto fosse nascosto in quella parola Giacobbe forse non capiva.

Con ogni probabilità capì che la promessa significava grandi numeri. Che avesse tale intenzione non c'è dubbio, ma la storia successiva mostra che significava molto di più, perché attraverso la disciplina e la sofferenza la nazione doveva essere resa grande in altri modi che non l'aumento della popolazione. Dio rivela agli uomini in un dato momento solo quanto sono in grado di sopportare. Eppure, nel caso in cui qualche timore venisse al cuore del Suo servitore, Egli gli promise, secondo: "Io scenderò con te"; e, infine, "Lo farò.

.. portati su." È interessante notare che Dio gli parlava ancora con l'antico nome "Giacobbe", riconoscendo che non era entrato sperimentalmente in tutto ciò che la grazia aveva provveduto per lui, e indicando che nonostante il suo fallimento, Dio ancora ha continuato a guidare.

Giuseppe dispose con cura la segregazione del suo popolo, che era anche indubbiamente parte del proposito divino. Li incaricò di dichiararsi pastori al Faraone. Ciò garantiva il mantenimento della separazione degli egiziani dagli ebrei perché "ogni pastore è un abominio per gli egiziani".

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