L'affermazione conclusiva del capitolo precedente ne costituisce l'introduzione. Le parole "Appena Gedeone fu morto" e la dichiarazione che poi il popolo tornò ai corsi malvagi rivelano, in primo luogo, la forza di Gideon e il fatto che aveva esercitato in larga misura un'influenza benefica. Mostrano, inoltre, quanto fosse praticamente inutile l'obbedienza esteriore del popolo.

Giudizio questa volta torta dall'interno piuttosto che dall'esterno. Abimelech, figlio naturale di Gedeone, uomo senza principi e brutale ma di grande forza personale, si assicurò la fedeltà degli uomini di Sichem e assunse praticamente la posizione di re. Per rendere sicura la sua posizione fece massacrare tutti i figli di Gedeone, tranne Jotham, il quale, scappando, pronunciò una profezia parabolica dall'alto del monte Garizim.

Questa parabola era piena di un bel disprezzo per Abimelech, che Jotham paragonava al rovo. Nel corso di essa indicò la linea lungo la quale il giudizio sarebbe caduto sul popolo peccatore. Abimelech sarebbe stata la distruzione degli uomini di Sichem e gli uomini di Sichem sarebbero stati la distruzione di Abimelech.

La profezia di Jotham non si sarebbe adempiuta immediatamente. Il fuoco ha covato per tre anni, ma alla fine si è manifestato. Si può ben immaginare come il governo di un tale uomo sarebbe stato caratterizzato da oppressione e tirannia, ei semi del malcontento seminati nei cuori delle persone oppresse si muovessero verso una messe di giudizio. Gaal, figlio di Ebed, approfittò di questo malcontento per incitare gli uomini di Sichem contro Abimelech.

Abimelech si vendicò con misure drastiche e brutali, ma andò incontro alla morte per atto di una donna che gli scagliò addosso un pezzo di macina superiore. Quasi più terribile dell'oppressione dell'esterno fu questo periodo di giudizio per mezzo di lotte intestine.

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