Sicuramente lo prenderei sulla mia spalla e me lo legherei come una corona. Sicuramente lo prenderei sulla mia spalla: mi accontenterei di presentarmi davanti alla sbarra come un criminale, portando sulla mia spalla l'asse su cui è apposta l'accusa. In un libro di punizioni cinesi ora davanti a me, contenente disegni che rappresentano vari criminali portati in giudizio, in processo e dopo il processo, accusati di diversi reati; in quasi tutte compare una lavagna, sulla quale è giustamente scritta l'accusa o il delitto di cui sono accusati, o per cui soffrono.

Laddove la pena è capitale, questa tavola appare attaccata allo strumento, o attaccata vicino al luogo della punizione. In un caso un'asse grande e pesante, attraverso la quale vi è un foro per far passare la testa, - o meglio un foro che si adatta al collo, come quello della gogna, - con sopra scritto il delitto, poggia sulle spalle del criminale; e questo è obbligato a portare avanti per le settimane oi mesi durante i quali dura la punizione.

È probabile che Giobbe alluda a qualcosa di questo genere, di cui lascia intendere che avrebbe a che fare con lui durante l'intervallo tra l'accusa e la questione in giudizio; e, lungi dal considerarlo una disgrazia, lo stringerebbe così forte come si metterebbe una corona o un diadema al capo; essendo pienamente assicurato, dalla sua innocenza, e dalle prove di essa, che infallibilmente sarebbero apparse al processo, che avrebbe avuto la più onorevole assoluzione.

Può esserci anche un'allusione al modo di ricevere un favore da un superiore: lo si mette subito sul capo, in segno di rispetto; e se un pezzo di stoffa è dato al tempio, il ricevente non solo lo mette sulla sua testa, ma lo lega lì.

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