Detto nel discorso di Licaonia. ‑ Il fatto è chiaramente registrato con uno scopo preciso, e nessuna spiegazione sembra così naturale come quella che presume che sia stata data per giustificare l'atteggiamento passivo degli Apostoli finché ciò che è stato detto allora non abbia portato il suo frutto in atti. Sarà ammesso da tutti coloro che non sono sotto l'influenza di una teoria che questo serve quasi come un caso cruciale, mostrando che il "dono delle lingue", che S.

Paolo possedeva così largamente ( 1 Corinzi 14:18 ), non consisteva in una conoscenza soprannaturale di ogni patois provinciale con cui veniva in contatto. (Vedi Nota su Atti degli Apostoli 2:4 .) È chiaro che avrebbe potuto facilmente apprendere in seguito, da coloro che conoscevano entrambe le lingue, il significato di ciò che all'epoca era incomprensibile.

Supporre, come alcuni hanno fatto, che gli Apostoli, comprendendo ciò che si diceva, acconsentissero ai preparativi del sacrificio per poter poi manifestare la loro protesta come con maggiore effetto drammatico, è in contrasto con l'impressione naturale fatta dalla narrazione , e, non c'è bisogno di dirlo, con una degna concezione del carattere di San Paolo. Il carattere diglottico del popolo, qui e in altre province asiatiche dell'impero, renderebbe perfettamente naturale che si parlassero l'un l'altro nel proprio dialetto, mentre il greco serviva per i loro rapporti con gli stranieri. Si dice che il "discorso della Licaonia" avesse affinità con l'Assiro.

Gli dei sono scesi fino a noi a somiglianza degli uomini. — Letteralmente, gli dei, fatti simili agli uomini, sono scesi fino a noi. La credenza espressa dalle parole era caratteristica della rozza semplicità dei Licaoni. Tale grido non sarebbe stato possibile nelle grandi città dove la confluenza di un politeismo degradato e di una speculazione filosofica si era conclusa con un totale scetticismo. E la forma che assumeva la credenza era conforme alle antiche leggende del distretto.

Lì, secondo il mito che Ovidio aveva recentemente ravvivato e adornato ( Metam. viii. 625-724), Zeus ed Ermete (Giove e Mercurio) erano venuti in sembianze umane, ed erano stati ricevuti da Bauci e Filemone (Epistola di San Paolo a Filemone mostra che il nome è rimasto in quella regione) e ha lasciato segni del loro favore. Dal poema appena citato troviamo che il luogo in cui avevano abitato era considerato un santuario al quale i devoti adoratori si recavano in pellegrinaggio e dove lasciavano i loro ex voto.

Continua dopo la pubblicità
Continua dopo la pubblicità