capitolo 4

L'IMMAGINE DI ST. L'ANIMA DI GIOVANNI NELLA SUA EPISTOLA

1 Giovanni 5:18

Molto si è detto negli ultimi anni di una serie di sottili e delicati esperimenti sonori. Sono stati escogitati mezzi per fare per l'orecchio qualcosa di analogo a quello che gli occhiali fanno per un altro senso, e per rendere palpabili i risultati mediante un sistema di notazione. Ci viene detto che ogni albero, per esempio, secondo il suo fogliame, la sua posizione e la direzione dei venti, ha la sua nota o tono prevalente, che può essere segnato, e il suo timbro reso visibile prima da questa notazione, e poi udibile.

Così è con le anime dei santi di Dio, e principalmente degli Apostoli. Ognuno ha la sua nota, la chiave prevalente su cui è impostata la sua musica peculiare. Oppure possiamo impiegare un'altra immagine che forse ha l'autorità stessa di San Giovanni. Ciascuno dei Dodici ha il proprio emblema tra le dodici vaste e preziose pietre di fondazione che stanno alla base dell'intera parete della Chiesa. San Giovanni può quindi differire da San Pietro, come l'azzurro dello zaffiro differisce dalla forza e dallo splendore del diaspro. Ognuno è bello, ma con la sua caratteristica sfumatura di bellezza.

Ci proponiamo di esaminare le peculiarità della natura spirituale di san Giovanni che si possono rintracciare in questa epistola. Cerchiamo di farci un'idea della chiave su cui è posta, del colore che riflette alla luce del cielo, dell'immagine di un'anima che presenta. In questo tentativo non possiamo essere ingannati. St. John è così trasparentemente onesto; ha una visione così profonda, quasi terribilmente severa della verità.

Lo troviamo usare un'espressione sulla verità che forse non trova paralleli in nessun altro scrittore. "Se diciamo che abbiamo comunione con Lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non facciamo la verità". La verità quindi per lui è qualcosa che si estende a tutta la nostra natura ea tutta la nostra vita. La verità non va solo detta, ma ne è una manifestazione frammentaria. È da fare. Sarebbe stata per lui la più oscura delle menzogne ​​aver fatto un commento spirituale al suo Vangelo che non si realizzava in lui stesso.

Nell'Epistola, senza dubbio, usa la prima persona singolare con parsimonia, includendosi modestamente nel semplice "noi" dell'associazione cristiana. Eppure siamo altrettanto sicuri della perfetta accuratezza dell'immagine della sua anima, della musica nel suo cuore che rende visibile e udibile nella sua lettera, come siamo che udì la voce di molte acque e vide la città che scende da Dio dal cielo; certo, come se alla fine di questo quinto capitolo avesse aggiunto con l'enfasi trionfante della verità, nel suo modo semplice e maestoso: «Io Giovanni udii queste cose e le vidi.

"Chiude questa lettera con una triplice affermazione di alcuni postulati primari della vita cristiana; della sua purezza, del suo privilegio, della sua Presenza, -"sappiamo", "sappiamo", "sappiamo". il plurale potrebbe essere scambiato con il singolare Dice "sappiamo", perché è sicuro "lo so".

Nello studiare le epistole di san Giovanni possiamo ben chiederci cosa vediamo e sentiamo in esse del carattere di san Giovanni,

(1) come scrittore sacro,

(2) come un'anima santa.

I Consideriamo dapprima le indicazioni contenute nell'Epistola del carattere dell'Apostolo come scrittore sacro. Per un aiuto in questa direzione non ci rivolgiamo con molta soddisfazione a saggi o annotazioni pervase dallo spirito moderno. La critica testuale all'erudizione minuziosa è senza dubbio molta, ma non è tutto. Gli aoristi sono fatti per l'uomo; non uomo per l'aoristo. Colui infatti che non ha tracciato ogni fibra del testo sacro con grammatica e lessico non può, in tutta onestà, pretendere di esserne un espositore.

Ma nel caso di un libro come la Scrittura questo, dopo tutto, è solo un importante preliminare. La frigida sottigliezza del commentatore che sembra avere sempre davanti agli occhi le domande per un esame di divinità, viene meno al bagliore e all'elevazione necessari per metterci in comunione con lo spirito di san Giovanni. Guidato da tali guide, l'Apostolo passa sotto la nostra recensione come scrittore di terz'ordine di una magnifica lingua in decadenza, non come il più grande dei teologi e maestri della vita spirituale - con qualunque difetto di stile letterario, subito il Platone del Dodici in una regione e Aristotele nell'altra; il primo per la sua "alta ispirazione", il secondo per il suo "utilitarismo giudizioso".

Il pensiero più profondo della Chiesa cova da diciassette secoli su queste parole pregnanti e multiformi, tante delle quali sono le stesse parole di Cristo. Separarsi da questo vasto e bellissimo commento è porsi fuori dall'atmosfera in cui possiamo sentire meglio l'influenza di San Giovanni.

Leggiamo la descrizione di Crisostomo dello stile e del pensiero dell'autore del quarto Vangelo. «Fa il suo ingresso il figlio del tuono, l'amato di Cristo, la colonna delle Chiese, che si appoggiò al seno di Gesù. Non recita, si copre il capo senza maschera. viene con i piedi calzati con la preparazione del Vangelo della pace, e i suoi lombi cinto, non con vello tinto di porpora, o essere lasciato cadere d'oro, ma intessuto fino in fondo con, e composto di, la verità stessa.

Ora apparirà davanti a noi, non in modo drammatico, perché con lui non c'è effetto teatrale o finzione, ma a testa scoperta dice la nuda verità. Tutte queste cose parlerà con assoluta accuratezza, essendo l'amico del re stesso, sì, avendo il re che parla in lui e ascoltando da lui tutte le cose che ode dal Padre; come Egli dice: 'vi ho chiamato amici, perché tutte le cose che ho udito dal Padre mio, ve le ho fatte conoscere.

Perciò, come se tutti ad un tratto vedessimo uno chinarsi da laggiù il cielo, e prometterci di dirci veramente delle cose là, dovremmo tutti radunarci ad ascoltarlo, così ora disponiamoci. Perché è da lassù che quest'uomo ci parla dall'alto. E il pescatore non si lascia trascinare dalla corrente vorticosa della propria esuberante verbosità; ma tutto ciò che dice è con la ferma accuratezza della verità, e come se si trovasse su una roccia non si muove.

Tutto il tempo è il suo testimone. Vedi tu l'audacia e la grande autorità delle sue parole! come non proferisca nulla per dubbia congettura, ma tutto in modo dimostrativo, come se pronunciasse una sentenza. Altissimo è questo Apostolo, e pieno di dogmi, e si sofferma su di essi più che su altre cose!" Questo mirabile brano, con il suo fresco e nobile entusiasmo, non ci ricorda da nessuna parte le sottigliezze glaciali delle scuole.

È l'espressione di un espositore che parlava la lingua in cui scriveva il suo maestro e respirava la stessa atmosfera spirituale. Non è meno vero dell'Epistola che del Vangelo di San Giovanni.

Anche qui «è pieno di dogmi», anche qui è il teologo della Chiesa. Ma non dobbiamo stimare la quantità di dogma semplicemente in base al numero di parole in cui è espresso. Il dogma, infatti, non è realmente composto da testi isolati, come polline inondato da conifere e germi sparsi da muschi, accidentalmente riuniti e compattati, si trovano all'analisi chimica per formare alcuni grumi di carbone.

È primario e strutturale. La divinità e l'incarnazione di Gesù pervadono la prima lettera. Tutta la sua struttura è trinitaria. Contiene due delle tre grandi espressioni dogmatiche di tre parole del Nuovo Testamento sulla natura di Dio (la prima è nel quarto Vangelo): "Dio è Spirito", "Dio è luce", "Dio è amore". Le principali affermazioni dogmatiche dell'Espiazione si trovano in questi pochi capitoli.

"Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato". "Abbiamo un Avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il Giusto". "Egli è la propiziazione per il mondo intero". "Dio ci ha amati e ha mandato a suo Figlio la propiziazione per i nostri peccati". Là dove l'Apostolo passa ad occuparsi della vita spirituale, egli ancora una volta «è pieno di dogmi», cioè di sentenze eterne, autoevidenti, oracolari, dette come «giù dal cielo», o da chi «ha il piede su una roccia", proposizioni apparentemente identiche, onnicomprensive, i dogmi della vita morale e spirituale, come quelli sulla Trinità, l'Incarnazione, l'Espiazione, sono di verità strettamente teologica.

Un'ulteriore caratteristica di san Giovanni come scrittore sacro nella sua epistola è che sembra indicare in tutto le condizioni morali e spirituali che erano necessarie per ricevere il Vangelo di cui ha dotato la Chiesa come vita della loro vita. Queste condizioni sono tre. La prima è la spiritualità, la sottomissione all'insegnamento dello Spirito, affinché conoscano il significato delle parole di Gesù, l'"unzione" dello Spirito Santo, che è sempre "insegnare ogni cosa" che Egli ha detto.

La seconda condizione è la purezza, almeno lo sforzo continuo dopo l'autopurificazione che incombe anche su coloro che hanno ricevuto il grande perdono. Ciò implica il seguire nel cammino quotidiano della vita l'Unico cammino di vita perfetto, l'imitazione di ciò che è sommamente buono, "incarnato in un'effettiva carriera terrena". Tutto deve essere purezza, o sforzo dopo purezza, dalla parte di coloro che leggerebbero bene il Vangelo dell'Immacolato Agnello di Dio.

La terza condizione per tali lettori è l'amore- carità. Quando arriva ad affrontare pienamente quel grande tema, l'aquila di Dio si allontana lontano dalla vista. Nelle profondità del suo Essere Eterno, "Dio è amore". Allora questa verità si avvicina a noi come credenti. Si manifesta completamente e per sempre nella sua opera in noi, perché "Dio ha mandato" (una missione nel passato, ma con conseguenze durature) "Suo Figlio, il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché possiamo vivere per Lui.

Ancora una volta egli si eleva dalla manifestazione di questo amore al principio eterno ed essenziale in cui esso sta presente per sempre. "In questo è l'amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Dio ci ha amati, e una volta per tutte Suo Figlio una propiziazione per i nostri peccati". Segue poi la manifestazione del nostro amore. "Se Dio ci ha amati così, anche noi siamo tenuti ad amarci gli uni gli altri". Ci sembra strano che S.

Giovanni non trae prima la lezione: "Se Dio ci ha amati così, anche noi siamo tenuti ad amare Dio"? È sempre stato nel suo cuore, ma lo esprime a modo suo, nella solenne e patetica domanda: "Chi non ama il fratello che ha visto, Dio che non ha visto come può amare?" Eppure ancora una volta riassume il credo in poche parole brevi. "Abbiamo creduto all'amore che Dio ha in noi". Veramente e profondamente è stato detto che questo credo del cuore, soffuso delle tinte più tenui e dei colori più dolci, va alla radice di tutte le eresie sull'Incarnazione, sia in S.

L'ora di John o più tardi. Che Dio dovrebbe rinunciare a suo Figlio inviandolo in umanità; che il Verbo incarnato debba umiliarsi fino alla morte sulla croce, il Senza Peccato si offra per i peccatori, questo è ciò che l'eresia non riesce a comprendere. È l'eccesso di tale amore che lo rende incredibile. "Abbiamo creduto all'amore" è tutta la fede di un uomo cristiano. È il Credo di San Giovanni in tre parole.

Tali sono le caratteristiche principali di san Giovanni come scrittore sacro, che possono essere rintracciate nella sua epistola. Queste caratteristiche dell'autore implicano caratteristiche corrispondenti dell'uomo. Colui che afferma con tale inevitabile precisione, con così nobile e contenuto entusiasmo, i grandi dogmi della fede cristiana, le grandi leggi della vita cristiana, deve averli creduto interamente. Chi insiste su queste condizioni nei lettori del suo Vangelo deve aver mirato e posseduto egli stesso la spiritualità, la purezza e l'amore.

II Procediamo a considerare la Prima Lettera come un'immagine dell'anima del suo autore.

(1) La sua era una vita libera dal dominio del peccato volontario e abituale di qualsiasi tipo. "Chi è nato da Dio non commette peccato e non può continuare a peccare". "Chiunque dimora in lui non pecca; chi pecca non l'ha visto, né l'ha conosciuto." Un uomo così del tutto vero, se cosciente di se stesso di qualsiasi peccato dominante, non osa aver scritto deliberatamente queste parole.

(2) Ma se San Giovanni fu una vita libera dalla sottomissione a qualsiasi forma di potere del peccato, ci mostra che la santità non è assenza di peccato, in un linguaggio che è allo stesso modo imprudente e pericoloso tentare di spiegare. "Se diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi". "Se diciamo che non abbiamo peccato e non siamo peccatori, lo facciamo bugiardo". Ma finché non ricadiamo nelle tenebre, il sangue di Gesù ci purifica sempre da ogni peccato.

Questo ha scritto affinché la pienezza della vita cristiana si realizzi nei credenti; che ogni passo del loro cammino segua le orme benedette della vita santissima; che ogni atto successivo di un'esistenza consacrata sia esente dal peccato. Eppure, se qualcuno fallisce in un tale singolo atto, se devia, per un momento, dal "vero tenore" del corso che sta plasmando, non c'è motivo di disperare.

Bella l'umiltà di quest'anima pura ed eccelsa! Con quanta tenerezza, con quale umile grazia si pone tra coloro che hanno e hanno bisogno di un Avvocato. "L'umiltà di Marco Giovanni", grida sant'Agostino; "non dice 'avete', né 'avete me', e nemmeno 'avete Cristo'. Ma egli propone Cristo, non se stesso, e dice "abbiamo", non "avete", ponendosi così nel rango dei peccatori.

Né san Giovanni si copre sotto i sotterfugi con cui gli uomini in tempi diversi hanno cercato di sbarazzarsi di una verità così umiliante per l'orgoglio spirituale, a volte affermando che sono così accettati in Cristo che nessun peccato è loro imputato per tale ; a volte invocando l'esenzione personale per se stessi come credenti.

Questa lettera è l'unica nel Nuovo Testamento ad essere indirizzata a due generazioni, una delle quali, dopo la conversione, era invecchiata in un ambiente cristiano, mentre l'altra era stata educata dalla culla sotto l'influenza della Chiesa cristiana. È quindi naturale che tale lettera metta in risalto il costante bisogno del perdono. Certamente non parla tanto del grande perdono iniziale, quanto dei perdoni continui di cui ha bisogno la fragilità umana.

Soffermandosi sul perdono una volta concesso, sulla santificazione una volta iniziata, è possibile che gli uomini dimentichino il perdono che manca ogni giorno, la purificazione che non deve mai cessare. Dobbiamo camminare ogni giorno di perdono in perdono, di purificazione in purificazione. L'abbandono di ieri di sé a Cristo può diventare inefficace se non viene rinnovato oggi. A volte si dice che questa sia una visione umiliante della vita cristiana.

Forse sì, ma è la visione della Chiesa, che pone nei suoi uffici una quotidiana confessione del peccato; di San Giovanni in questa epistola; anzi, di Colui che ci insegna, dopo le nostre preghiere per il pane giorno per giorno, a pregare per un perdono quotidiano. Questo può essere più umiliante, ma è un insegnamento più sicuro di quello che proclama un perdono da appropriarsi in un momento per tutti i peccati passati, presenti e futuri.

Questa umiltà può essere rintracciata incidentalmente in altre regioni della vita cristiana. Così parla della possibilità almeno del suo essere tra coloro che potrebbero "ritrarsi con vergogna davanti a Cristo nella sua venuta". Non disdegna di scrivere come se, nelle ore di depressione spirituale, ci fossero prove attraverso le quali anche lui potrebbe aver bisogno di cullare e "persuadere il suo cuore davanti a Dio".

(3) San Giovanni ha di nuovo una fede illimitata nella preghiera. È la chiave messa nelle mani del bambino per la quale egli può entrare in casa, ed entrare alla presenza del Padre suo quando vuole, a qualsiasi ora della notte e del giorno. E la preghiera fatta secondo le condizioni che Dio ha posto non si perde mai del tutto. La cosa particolare richiesta potrebbe non essere data; ma la sostanza della richiesta - il desiderio più santo, lo scopo migliore che sta alla base della sua debolezza e imperfezione - non manca mai di essere esaudita.

(4) Tutti i lettori, tranne quelli superficiali, devono percepire che negli scritti e nel personaggio di San Giovanni c'è di volta in volta una severità tonica e salutare. L'arte e la letteratura moderna hanno convenuto di conferire all'Apostolo dell'amore i tratti di una tenerezza languida e inerte. Si dimentica che San Giovanni era figlio del tuono; che una volta avrebbe potuto desiderare di far scendere il fuoco dal cielo; e che il carattere naturale è trasfigurato, non invertito, per grazia.

L'Apostolo usa una grande semplicità di parola. Per lui una menzogna è una menzogna, e l'oscurità non è mai gentilmente chiamata luce. Aborrisce e trema di fronte a quelle eresie che derubano l'anima prima di Cristo e poi di Dio. Coloro che minano l'Incarnazione non sono per lui speculatori interessanti e originali, ma "profeti bugiardi". Sottolinea i suoi avvertimenti contro tali uomini con il suo segno di matita più ruvido e nero.

"Chi gli dice 'buona velocità' ha comunione con le sue opere, quelle opere malvagie"-perché tale eresia non è semplicemente un'opera, ma una serie di opere. Il prelato scismatico o pretendente Diotrefe può "balbettare", ma i suoi balbettii sono parole malvagie per tutto ciò, e sono in verità le "opere che sta facendo".

L'influenza di ogni grande maestro cristiano dura molto oltre il giorno della sua morte. Si avverte in tono e spirito generale, in una speciale appropriazione di alcune parti del credo, in un metodo peculiare della vita cristiana. Questa influenza è molto visibile nei resti di due discepoli di San Giovanni, Ignazio e Policarpo. Scrivendo agli Efesini Ignazio non si riferisce infatti esplicitamente all'Epistola di San Giovanni, come fa a quella di San Giovanni.

Paolo agli Efesini. Ma traccia in poche righe audaci un'immagine della vita cristiana che è imbevuta dello stesso spirito di san Giovanni. Il carattere che l'Apostolo amava era quieto e reale; sentiamo che il suo cuore non è con "colui che dice". Così scrive Ignazio: "meglio tacere, eppure essere, che parlare e non essere. È bene insegnare se 'chi dice fa'. Colui che ha ricevuto a sé la parola di Gesù può veramente ascoltare anche il silenzio di Gesù, perché agisca attraverso ciò che dice, e sia conosciuto attraverso le cose in cui tace.

Facciamo dunque ogni cosa come alla sua presenza che abita in noi, affinché siamo il suo tempio ed Egli sia in noi il nostro Dio". Questo è lo spirito stesso di san Giovanni. In esso sentiamo subito il suo severo buon senso e il suo glorioso misticismo.

C'è da aggiungere che l'influsso di san Giovanni si può rintracciare in materie spesso ritenute estranee alla sua semplice e spirituale pietà. Sembra che l'Episcopato si sia consolidato ed esteso sotto la sua cura affidataria. Il linguaggio del suo discepolo Ignazio, sulla necessità dell'unione con l'Episcopato è, dopo tutte le deduzioni concepibili, di una forza sorprendente. Pochi decenni non avrebbero potuto allontanare Ignazio così lontano dalle linee tracciategli da S.

Giovanni, come deve aver avanzato, questo insegnamento sul governo della Chiesa fu un nuovo punto di partenza. E a questa concezione del governo della Chiesa dobbiamo associare anche altre questioni. Gli immediati successori di san Giovanni, che avevano appreso dalle sue labbra, avevano profonde vedute sacramentali. L'Eucaristia è «il pane di Dio, il pane del cielo, il pane della vita, la carne di Cristo». Di nuovo Ignazio grida: "Desiderate usare un'Eucaristia, perché una è la carne di nostro Signore Gesù Cristo, e un calice all'unità del suo sangue, un altare, come un vescovo, con il presbiterio e i diaconi.

Non mancano gli accenni che la dolcezza e la luce nel culto pubblico trassero ispirazione da questo stesso quartiere. Il linguaggio di Ignazio tingeva profondamente la sua passione per la musica. La bella storia, come trascrisse, subito dopo una visione, la melodia a cui aveva udito il canto degli angeli e ne fece uso nella sua chiesa ad Antiochia, attesta l'impressione di entusiasmo e cura per il canto sacro che era associata alla memoria di Ignazio.

Né possiamo stupirci di queste caratteristiche del cristianesimo efeso, quando ricordiamo chi fu il fondatore di quelle Chiese. È stato l'autore di tre libri. Questi libri ci giungono con una continua interpretazione viva di più di diciassette secoli di cristianesimo storico. Dal quarto Vangelo è sorto in larga misura l'istinto sacramentale, dall'Apocalisse l'istinto estetico, certamente esagerato sia in Oriente che in Occidente.

Il terzo e il sesto capitolo del Vangelo di san Giovanni permeano ogni ufficio battesimale ed eucaristico. Dato un libro ispirato che rappresenta il culto dei redenti come uno di perfetta maestà e bellezza, gli uomini possono benissimo, in presenza di chiese nobili e maestose liturgie, adottare le parole del nostro grande poeta cristiano inglese-

"Cose che si riversano sulla cornice esteriore

Di adorazione gloria e grazia, che chi incolperà?

Che abbia mai guardato al cielo per il riposo finale?"

Il terzo libro di questo gruppo di scritti fornisce la spiritualità dolce e tranquilla che è il fondamento di ogni natura rigenerata.

Tale è l'immagine dell'anima che ci viene presentata dallo stesso san Giovanni. Si basa su una ferma convinzione della natura di Dio, della Divinità, dell'Incarnazione, dell'Espiazione di nostro Signore. È spirituale. È puro, o viene purificato. La più alta verità teologale - "Dio è Amore" - realizzata sommamente nella Santissima Trinità, manifestata sommamente nell'invio del Figlio unigenito di Dio, diventa la legge della sua comune vita sociale, resa visibile nella dolce pazienza, nel dono e nel perdono.

Tale vita sarà libera dalla degradazione del peccato abituale. Eppure è nel migliore dei casi una rappresentazione imperfetta dell'unica vita perfetta. Ha bisogno di una purificazione incessante mediante il sangue di Gesù, la continua difesa di Colui che è senza peccato. Una tale natura, per quanto piena di carità, non sarà debolmente indulgente all'errore vitale o allo scisma ambizioso; perché conosce il valore della verità e dell'unità. Si sente la dolcezza di una coscienza tranquilla, e di una semplice fede nell'efficacia della preghiera.

Sopra ogni tale vita - su tutto il dolore che può essere, tutta la tentazione che deve essere - c'è la speranza purificatrice di un grande Avvento, la nobilitante certezza di una vittoria perfetta, la consapevolezza che se restiamo fedeli al principio del nostro nuovo nascita siamo al sicuro. E la nostra sicurezza non è che ci teniamo, ma che siamo tenuti da braccia che sono morbide come l'amore e forti come l'eternità.

Queste Lettere sono per noi piene di istruzione e di conforto, proprio perché scritte in un clima di Chiesa che, almeno per un aspetto, somiglia al nostro. In essi non c'è alcun riferimento a una continuazione di poteri miracolosi, a rapimenti oa fenomeni straordinari. Tutto ciò che in loro è soprannaturale continua fino ai nostri giorni, nel possesso di una testimonianza ispirata, nella grazia sacramentale, nel perdono e nella santità, nella pace e nella forza dei credenti.

Gli apocrifi "Atti di Giovanni" contengono alcuni frammenti di vera bellezza quasi persi in storie discutibili e prolisse declamazioni. Probabilmente non è letteralmente vero che quando San Giovanni nella prima infanzia volle farsi una casa, il suo Signore gli disse: "Ho bisogno di te, Giovanni"; che quella voce elettrizzante una volta venne da lui, aleggiava sul mare ancora oscuro: "John, se tu non fossi stato mio, ti avrei permesso di sposarti.

Ma l'Epistola ci mostra molto più efficacemente che aveva un cuore puro e una volontà vergine. È poco probabile che il figlio di Zebedeo abbia mai bevuto impunemente una coppa di cicuta; ma portava in sé un efficace incantesimo contro il veleno del peccato Possiamo sorridere noi di questo diciannovesimo secolo quando leggiamo che possedeva il potere di trasformare le foglie in oro, di trasmutare i sassi in gioielli, di fondere in una gemma frantumata, ma portava con sé dovunque andasse quell'eccellente dono della carità, che fa risplendere di bellezza le cose più comuni della terra.

Potrebbe non aver effettivamente lodato il suo Maestro durante la sua ultima ora con parole che ci sembrano non del tutto indegne nemmeno di tali labbra: "Tu sei l'unico Signore, la radice dell'immortalità, la fonte dell'incorruttibilità. Tu che hai creato la nostra natura selvaggia e rozza. dolce e tranquillo, che mi ha liberato dall'immaginazione del momento e mi ha tenuto al sicuro nella custodia di ciò che dimora per sempre." Ma tali pensieri in vita o in morte non furono mai lontani da colui per il quale Cristo era il Verbo e la Vita; i quali sapevano che mentre "il mondo passa e la sua concupiscenza, colui che fa la volontà di Dio rimane per sempre".

Possiamo così guardare questa immagine dell'anima dell'Apostolo nella sua Epistola per riflettere qualcosa della sua luminosità! Possiamo noi essere capaci di pensare, mentre ci rivolgiamo a questa triplice affermazione di conoscenza: "Conosco qualcosa della sicurezza di questa custodia. Conosco qualcosa della dolcezza dell'essere nella Chiesa, quell'isola di luce circondata da un mondo oscuro. Conosco qualcosa della bellezza della vita umana perfetta registrata da S.

Giovanni, qualcosa della continua presenza del Figlio di Dio, qualcosa del senso nuovo che Egli dà, affinché possiamo conoscere Colui che è il vero Dio." Scambio benedetto: non da vantare ad alta voce, ma da pronunciare con riverenza nei nostri cuori -lo scambio di noi, per I. C'è molta divinità in questi pronomi.

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