CAPITOLO 4:26-29 ( Marco 4:26 )

IL SEME CHE CRESCE SEGRETAMENTE

“E disse: Così è il regno di Dio, come se un uomo gettasse il seme sulla terra; e dormisse e si alzasse notte e giorno, e il seme germogliasse e crescesse, egli non sa come. La terra porta frutto di se stessa; prima la lama, poi la spiga, poi il grano intero nella spiga. Ma quando il frutto è maturo, subito mette fuori la falce, perché è venuta la mietitura». Marco 4:26 (RV)

NS. Marco solo registra questa parabola di un seminatore che dorme di notte e si alza per altri affari di giorno, e non sa come germoglia il seme. Non è questa la preoccupazione del seminatore: non gli resta che stendere la falce quando sarà venuta la mietitura.

È una parabola sorprendente per noi che crediamo nella cura custode dello Spirito Divino. E il paradosso è imposto alla nostra attenzione dalle parole "la terra porta frutto da sé", contrastando stranamente come fa con tali altre affermazioni, come che il ramo non può portare frutto da sé, che senza Cristo non possiamo fare nulla, e che quando viviamo non siamo noi ma Cristo che vive in noi.

Spesso ci aiuterà a capire un paradosso se riusciamo a scoprirne un altro simile. Ed esattamente uno come questo si troverà nel registro della creazione. Dio si riposò il settimo giorno da tutta la sua opera, eppure sappiamo che la sua provvidenza non dorme mai, che da lui tutte le cose consistono, e che Gesù difese la sua opera di guarigione in giorno di sabato esortando che il sabato di Dio fosse occupato in misericordioso provvedimento per il suo mondo.

"Mio Padre ha lavorato finora, e io lavoro". Così il resto di Dio dal lavoro creativo non dice nulla delle sue energie in quell'altro campo di cure provvidenziali. Esattamente così Gesù qui tratta solo di ciò che si può chiamare l'opera spirituale creatrice, il deposito del seme della vita. E l'essenza di questa notevole parabola è l'affermazione che dobbiamo aspettarci uno sviluppo ordinato, tranquillo e graduale da questo principio di vita, non una serie di comunicazioni dall'esterno, di rivelazioni aggiuntive, di interferenze semi-miracolose.

La vita di grazia è un processo naturale nella sfera soprannaturale. In un certo senso è tutto di Dio, che fa sorgere il suo sole e manda la pioggia, senza la quale la terra non potrebbe da sé stessa dare frutto. In un altro senso dobbiamo operare la nostra salvezza tanto più seriamente perché è Dio che opera in noi.

Ora questa parabola, così spiegata, si è rivelata vera nella meravigliosa storia della Chiesa. È cresciuta, non solo per estensione, ma per sviluppo, meravigliosamente come un chicco di grano che ora è uno stelo di grano ondeggiante con la sua spiga matura. Quando il cardinale Newman ha esortato un antico cristiano, tornando sulla terra, a riconoscere i servizi e la Chiesa di Roma, e non avrebbe riconosciuto la nostra, probabilmente si è sbagliato.

Per non andare oltre, non c'è Chiesa sulla terra così diversa dalle Chiese del Nuovo Testamento come quella che offre lode a Dio in una lingua straniera. San Paolo capì che uno straniero in una tale assemblea avrebbe considerato pazzi gli adoratori. Ma in ogni caso l'argomento dimentica che tutto il regno di Dio deve assomigliare al seme, non in un cassetto, ma nella terra, e avanzare verso la mietitura. Deve "morire" troppo se porterà frutto.

Deve acquisire una strana massa, strane forme, strani organismi. Deve diventare, per coloro che solo lo conoscevano così com'era, altrettanto irriconoscibile come si dice che siano le nostre Chiese. Eppure i cambiamenti devono essere quelli della crescita logica, non della corruzione. E questa parabola ci dice che devono essere realizzati senza alcuna interferenza speciale come quella segnata dal tempo della semina. Ebbene, la parabola è una profezia. Movimento dopo movimento ha modificato la vita della Chiesa.

Anche la sua struttura non è tutto ciò che era. Ma questi cambiamenti sono stati tutti operati dall'azione umana, sono venuti da dentro di esso, come la forza che spinge il germe fuori dal terreno ed espande il germoglio nel grano pieno nella spiga. Non c'è stato coltello da innesto per inserire un nuovo principio di vita più ricca; il vangelo ei sacramenti di nostro Signore hanno contenuto in loro la promessa e la potenza di tutto ciò che doveva ancora essere svelato, tutta la grazia e tutto il frutto.

E queste parole, "la terra porta frutto da sé, prima la lama, poi la spiga, poi il grano pieno nella spiga", ciascuna così diversa, eppure così dipendente da ciò che l'ha preceduta, ci insegnano due grandi lezioni ecclesiastiche. Condannano i cambiamenti violenti e rivoluzionari, che non svilupperebbero vecchi germi ma li squarceranno o forse li strapperanno. Molto può essere sgradevole allo spirito del sordido utilitarismo; una semplice pula, che tuttavia custodisce al suo interno il prezioso grano, altrimenti destinato a perire.

Se così impariamo a rispettare il vecchio, tanto più impariamo che anche il nuovo ha la sua parte importantissima da svolgere. La lama e l'orecchio a loro volta sono innovazioni. Non dobbiamo condannare quelle nuove forme di attività cristiana, associazione cristiana e concili cristiani, che i nuovi tempi evocano, finché non avremo considerato bene se sono veramente espansioni, alla luce e al calore del nostro secolo, del sacro germe di vita di l'antico amore.

E quali lezioni ha questa parabola per l'individuo? Sicuramente quella della fede presente operosa, non in attesa di futuri doni di luce o di sentimento, ma fiduciosi che il seme già seminato, il seme della parola, abbia il potere di svilupparsi nel frutto ricco del carattere cristiano. A questo proposito la parabola integra la prima. Da ciò abbiamo appreso che se il suolo non fosse colpevole, se il cuore fosse onesto e buono, il seme fruttificherebbe.

Da questo apprendiamo che queste condizioni sono sufficienti per un raccolto perfetto. L'aiuto incessante e importantissimo di Dio, come abbiamo visto, non viene negato; è dato per scontato, come le influenze atmosferiche e magnetiche sul grano. Quindi dovremmo affidarci con riverenza e gratitudine all'aiuto di Dio, e poi, invece di aspettare strane visite e speciali stimoli di grazia, dobbiamo renderci conto che possediamo già abbastanza per renderci responsabili del raccolto dell'anima.

Moltitudini di anime, la cui vera vocazione è, in obbediente fiducia, di alzarsi e camminare, in questo momento giacciono impotenti accanto a una pozza che si aspettano che un angelo scuota, e nella quale vorrebbero essere poi messi da qualcuno, sanno non chi - moltitudini di anime in attesa, inerti, inattive, che non sanno che il testo su cui hanno più bisogno di meditare è questo: "la terra da se stessa da frutto". In mancanza di ciò, in realtà, giorno dopo giorno, ricevono la grazia di Dio invano.

Impariamo anche ad accontentarci di progressi graduali. San Giovanni non biasimava i bambini ei giovani ai quali scriveva, perché non erano maturi in sapienza ed esperienza. San Paolo ci esorta a crescere in ogni cosa in Lui che è il Capo, anche Cristo. Non chiedono altro che una crescita costante; e il loro Maestro, poiché diffidava della gioia fugace degli ascoltatori il cui cuore era superficiale, ora ci invita esplicitamente a non accontentarci di nessuna prima conquista, a non contare tutti i fatti se ci convertiamo, ma a sviluppare prima la lama, poi l'orecchio , e infine il mais intero nella spiga.

Ti sembra una frase noiosa e stanca? Siamo scontenti per mancanza di interferenze coscienti del cielo? Ci lamentiamo che, alla coscienza umana, il grande Seminatore dorme e si alza e lascia il grano da mangiare Non sa come? È solo per un po'. Quando il frutto sarà maturo, Egli stesso lo raccoglierà nel Suo granaio eterno.

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