Capitolo 5

L'UOMO ABBANDONATO A SUO MODO: IL PAESE

Romani 1:24

PERTANTO Dio li ha abbandonati, nei desideri del loro cuore, all'impurità, per disonorare tra loro i loro corpi.

C'è una sequenza oscura nella logica dei fatti, tra pensieri indegni di Dio e lo sviluppo delle forme più basse di torto umano. "Lo stolto ha detto in cuor suo: Dio non esiste: sono corrotti e hanno compiuto opere abominevoli". Salmi 14:1 E la stoltezza, che non rinnega certo Dio, ma degrada la sua Idea, dà sempre il suo sicuro contributo a tale corruzione.

È così nella natura del caso. L'individuo ateo, o politeista, può essere concepibilmente una persona virtuosa, sul livello umano; ma se lo è, non è per il suo credo. Lascia che il suo credo diventi un vero potere formativo nella società umana, e tenderà inevitabilmente alla malattia morale e alla morte. L'uomo è davvero una personalità morale, fatta a immagine di un Creatore santo e onnipotente? Allora l'aria vitale della sua vita morale deve essere la fedeltà, la corrispondenza, al suo Dio.

L'uomo pensi a Lui come meno di Tutti, e penserà a se stesso meno degnamente; non meno orgogliosamente forse, ma meno degnamente, perché non nel suo vero e mirabile rapporto con il Bene Eterno. Il torto in se stesso tenderà sicuramente a sembrare meno terribile e il giusto meno necessario e grande. E niente, letteralmente niente, da qualsiasi regione superiore a lui - lui stesso già abbassato nel suo pensiero dalla sua vera idea - può mai entrare per colmare il vuoto dove Dio dovrebbe essere, ma non è.

L'uomo può adorare se stesso, o può disprezzarsi, quando ha cessato di «glorificare Dio e ringraziarlo»; ma non può essere per un'ora ciò che è stato fatto per essere, il figlio di Dio nell'universo di Dio. Conoscere Dio davvero significa essere protetti dall'adorazione di se stessi e insegnare il rispetto per se stessi; ed è l'unico modo per questi due segreti nella loro pura pienezza.

"Dio li ha abbandonati". Così dice altrove la Scrittura. "Così li ho abbandonati alle concupiscenze del loro cuore"; Salmi 81:12 "Dio si voltò e li diede per adorare l' Salmi 81:12 del cielo"; Atti degli Apostoli 7:42 "Dio li ha abbandonati a passioni di degradazione"; "Dio li ha abbandonati a una mente abbandonata"; ( Romani 1:26 ; Romani 1:28 ).

È un pensiero terribile; ma l'intima coscienza, una volta sveglia, afferma la rettitudine della cosa. Da un certo punto di vista è solo l'elaborazione di un processo naturale, in cui il peccato è al tempo stesso esposto e punito con i suoi effetti propri, senza la minima iniezione, per così dire, di alcuna forza al di là della propria terribile gravitazione verso il peccatore. miseria. Ma da un altro punto è il castigo personalmente assegnato, e personalmente inflitto, di Colui che odia l'iniquità con l'antagonismo della Personalità infinita. Ha costituito un processo naturale in modo che il torto gravita nella miseria; ed Egli è in quel processo, e al di sopra di esso, sempre e per sempre.

Così Egli "li ha abbandonati, nei loro desideri del loro cuore"; Li lasciò là dove si erano messi", nella "regione fatale dell'ostinazione, dell'autoindulgenza; "all'impurità", descritto ora con terribile esplicitazione nel suo pieno esito, "per disonorare i loro corpi", i templi previsti della presenza del Creatore, "tra di loro" o "in se stessi"; perché il possibile disonore potrebbe essere fatto o in una solitudine ripugnante, o in una società e reciprocità più ripugnante: visto che hanno pervertito la verità di Dio, il fatto eterno della sua gloria e pretesa, nella loro menzogna, così che è stato travisato, travisato , perso, "nella" falsità del politeismo e degli idoli; e adorava e serviva la creatura piuttosto che il Creatore, che è benedetto in eterno.

Amen. Egli getta questa forte dossologia nell'aria densa della falsa adorazione e della vita immondo, come per sgombrarla con il suo sacro riverbero. Perché non sta scrivendo una semplice discussione, nessuna conferenza sulla genesi e l'evoluzione del paganesimo. È la storia di una vasta ribellione, raccontata da uno che, un tempo ribelle anch'egli, è ora completamente e per sempre vassallo assoluto del Re che ha "visto nella sua bellezza" e che è sua gioia benedire e richiedi la benedizione per Lui da tutto il Suo mondo per sempre.

Come animato dalla parola di benedizione, torna a denunciare "l'abominevole cosa che Dio odia" con ancor più terribile esplicitazione. Per questo, a motivo della loro preferenza del peggio all'infinito Bene, Dio li ha abbandonati a passioni di degradazione; Li consegnò, vincolati a se stessi, alla schiavitù impotente della lussuria; alle "passioni", parola eloquente, che indica come l'uomo che vuole fare a modo suo è pur sempre un "sofferente", sia pure per sua colpa: vittima di un dominio che ha evocato dal profondo del peccato.

Dobbiamo evitare di leggere, di rendere le parole che seguono? Non commenteremo ed esporremo. Possa la presenza di Dio nei nostri cuori, cuori altrimenti vulnerabili come quelli dei vecchi peccatori pagani, spazzare via dalle sorgenti del pensiero e volontà ogni orribile curiosità. Ma se lo farà ci lascerà più capaci, nell'umiltà, nelle lacrime, nella paura, di ascoltare i fatti di questa severa accusa. Ci inviterà ad ascoltare come coloro che non sono seduti in giudizio sul paganesimo, ma in piedi accanto all'accusato e al condannato, per confessare che anche noi condividiamo la caduta e, se stiamo in piedi, solo per grazia.

Sì, e ricorderemo che se un apostolo strappasse in tal modo gli stracci dalle macchie della peste nera dei costumi antichi, sarebbe stato ancor meno misericordioso, se possibile, per i sintomi simili ancora in agguato nella moderna cristianità, e trovati talvolta su la sua superficie.

Terribile, infatti, è la prosaica freddezza con cui i vizi ora chiamati innominabili sono nominati e narrati nella letteratura classica; e invano chiediamo uno anche dei più nobili moralisti pagani che abbia parlato di tali peccati con qualcosa di simile a un adeguato orrore. Tale discorso, e tale silenzio, sono stati quasi impossibili da quando il Vangelo è stato sentito nella civiltà. "Il paganesimo", dice il dottor FW Farrar, in un potente passaggio, con questo paragrafo di Romani a suo avviso, "è protetto dalla completa esposizione dall'enormità dei suoi stessi vizi.

Per mostrare la divina riforma operata dal cristianesimo deve bastare che una volta per tutte l'Apostolo delle genti afferrò il paganesimo per i capelli, e impresse indelebilmente sulla sua fronte lo stigma della sua vergogna". meraviglia dell'antiquario Ora come allora l'uomo è terribilmente accessibile alle peggiori sollecitazioni nel momento in cui si fida di sé lontano da Dio.

E questo va infatti ricordato in una fase del pensiero e della società il cui cinismo, e il cui materialismo, mostrano cupi segni di somiglianza con quegli ultimi giorni del vecchio mondo degenerato in cui san Paolo si guardava intorno e diceva le cose lui vide.

Per le loro femmine pervertito l'uso naturale per l'innaturale. Così anche i maschi, abbandonando l'uso naturale della femmina, s'infiammarono nella loro brama reciproca, maschi in maschi sfogando la loro sconvenienza, e debitamente ottenendo in se stessi quella ricompensa del loro errore che era loro dovuta.

E poiché non approvavano di conservare Dio nella loro conoscenza morale, Dio li abbandonò a una mente abbandonata, "una mente reproba, rifiutata da Dio"; incontrando la loro disapprovazione con la sua giusta e fatale riprovazione. Quella mente, prendendo le false premesse del Tentatore, e ragionando da esse per stabilire l'autocrazia di sé, condusse con terribile certezza e successo attraverso il pensiero malvagio a fare il male; fare le opere che non sono convenute, esporre l'essere fatto per Dio, in una nuda e turpe sconvenienza, ai suoi amici e ai suoi nemici; pieno di ogni ingiustizia, malvagità, malvagità, avidità; traboccante di invidia, omicidio, astuzia, cattiva natura; sussurratori, diffamatori, ripugnanti a Dio, oltraggiatori, superbi, vanagloriosi, inventori del male, disubbidienti ai genitori, insensati, infedeli, senza amore, senza tregua, spietati;

Ecco una terribile accusa della vita umana, e del cuore umano; tanto più terribile perché vuole essere semplicemente, in un certo senso, inclusivo, universale. Non siamo infatti obbligati a pensare che l'Apostolo addebiti ogni essere umano di peccati contro natura, come se tutta la terra fosse in realtà un'unica vasta Città della Piana. Non abbiamo bisogno di prenderlo nel senso che ogni discendente di Adamo è in realtà un figlio indegno, o effettivamente inaffidabile in un patto, o addirittura in realtà un millantatore, un άλαζν, un pretenzioso pretendente di lode o credito che sa di non meritare.

Possiamo essere sicuri che nel complesso, in questo passaggio orribile, accusato meno di condanna che di "lamento, lutto e dolore", egli pensa principalmente all'allora stato della società pagana nei suoi peggiori sviluppi. Tuttavia vedremo, come prosegue l'Epistola, che per tutto il tempo egli pensa non solo ai peccati di alcuni uomini, ma al peccato dell'uomo. Descrive con questa tremenda particolarità i vari sintomi di una malattia: la corruzione del cuore dell'uomo; una malattia ovunque presente, ovunque mortale; limitato nelle sue manifestazioni da molte circostanze e condizioni, all'esterno o all'interno dell'uomo, ma in sé del tutto illimitato nelle sue spaventose possibilità. Ciò che l'uomo è, in quanto caduto, corrotto, andato da Dio, è mostrato, nell'insegnamento di san Paolo, da ciò che sono gli uomini cattivi.

Ci ribelliamo all'inferenza? Molto probabilmente lo facciamo. Quasi sicuramente, prima o poi, lo abbiamo fatto. Guardiamo intorno a noi una vita stimabile e un'altra, che non possiamo ragionevolmente pensare come rigenerate, se teniamo conto delle rigide prove scritturali di rigenerazione, ma che richiede e guadagna il nostro rispetto, la nostra fiducia, può essere anche la nostra ammirazione; e diciamo, apertamente e tacitamente, consciamente o inconsapevolmente, che quella vita è chiara al di fuori di questo primo capitolo di Romani.

Bene, sia così nei nostri pensieri; e niente, no, niente ci renda se non pronti a riconoscere e ad onorare il bene dovunque lo vediamo, allo stesso modo nei santi di Dio e in coloro che negano il suo stesso Essere. Ma proprio ora ritiriamoci da tutti questi sguardi verso l'esterno, e con calma e in un'ora di silenzio guardiamo dentro. Noi, tu, io, sto fuori di questo capitolo? Siamo davvero disposti a dire che il cuore che portiamo nel nostro petto, qualunque sia il cuore del nostro amico, è tale che in nessun cambiamento di circostanze potrebbe, essendo quello che è, sviluppare concepibilmente le forme del male marchiate in questo passaggio? Ah, chi conosce se stesso non sa che c'è in lui indefinitamente più di quanto possa sapere di un possibile male? "Chi può capire i suoi errori?" Chi ha così incontrato la tentazione in tutte le sue forme tipiche da poter dire,

Non per niente in passato si discuteva della questione se esistesse un uomo che sarebbe sempre stato virtuoso se gli fosse stato dato l'anello di Gige e il potere di essere invisibile a tutti gli occhi. Né fu con leggerezza, o per pia retorica, che il più santo dei capi della nostra Riforma, vedendo un assassino portato a morte, esclamò che John Bradford se ne andò se non per la grazia di Dio.

È proprio quando un uomo è più vicino a Dio per se stesso che vede cosa, se non fosse per Dio, sarebbe; che cosa, separato da Dio, è, in potenza, se non in atto. Ed è proprio di questo umore che, leggendo questo paragrafo della grande Lettera, si batterà il petto e dirà: "Dio, abbi pietà di me peccatore". Luca 18:13

Così facendo incontrerà lo scopo stesso dell'Autore di questo passaggio. San Paolo è pieno del messaggio di pace, santità e Spirito. È intento e desideroso di portare il suo lettore alla vista e al possesso della pienezza dell'eterna misericordia, rivelata e assicurata nel Signore Gesù Cristo, nostro Sacrificio e Vita. Ma proprio per questo si adopera prima di esporre l'uomo a se stesso; risvegliarlo al fatto che è prima di tutto un peccatore; per invertire l'incantesimo del Tentatore e per fargli vedere il fatto della sua colpa ad occhi aperti.

"Il Vangelo", ha detto qualcuno, "non può essere mai provato se non alla cattiva coscienza". Se "cattivo" significa "risvegliato", il detto è profondamente vero. Con la coscienza profondamente addormentata possiamo discutere del cristianesimo, se condannarlo o applaudirlo. Potremmo vedere in esso un programma elevante per la gara. Possiamo affermare, mille volte, che dal credo che Dio si è fatto carne risultano infinite possibilità per l'Umanità.

Ma il Vangelo. "il potere di Dio per la salvezza", difficilmente sarà visto nella sua stessa evidenza prevalente, come è presentato in questa meravigliosa epistola, finché lo studente non sarà prima e con tutto il resto un penitente. L'uomo deve conoscere da sé qualcosa del peccato come colpa condannabile, e qualcosa di sé come cosa in una schiavitù impotente ma responsabile, prima di poter così vedere Cristo dato per noi, e risorto per noi, e seduto alla destra di Dio per noi, come dire: "Ora non c'è più condanna; chi ci separerà dall'amore di Dio? So in chi ho creduto".

Per la visione piena di Cristo occorre una vera visione di sé, cioè del peccato.

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