Sì, fratello, fammi gioire di te nel Signore; rinfresca le mie viscere nel Signore.

L'apostolo qui aggiunge un pensiero come se gli fosse appena venuto in mente: Perché forse per questo è partito per un po', affinché tu lo potessi riaverlo per sempre, non più come schiavo, ma al di sopra di uno schiavo, come un fratello amato, soprattutto a me, ma quanto più a te, nella carne come nel Signore! Questo è un riferimento alla dispensazione di Dio, che così dispose e diresse le cose che Onesimo non solo fu condotto a Roma, ma lì divenne personalmente noto a Paolo e così ricevette la conoscenza della sua salvezza.

Filemone doveva considerare l'intera faccenda come se il suo schiavo avesse intrapreso un viaggio di pochi mesi e ora fosse tornato per sempre, più strettamente legato al suo padrone di prima. Sebbene fosse ancora uno schiavo nella sua posizione, tuttavia non portava più il carattere di uno schiavo secondo l'accettazione del termine nel mondo. L'elemento vergognoso e degradante era svanito dalla relazione. Ora era, per quanto riguardava Paolo, un fratello amatissimo, partecipe dei suoi legami e figlio nella fede.

Molto più strettamente, quindi, Filemone dovrebbe considerarsi unito al suo schiavo dal duplice vincolo della relazione materiale e spirituale. Onesimo, lo schiavo, serviva gli interessi temporali del suo padrone, essendo impiegato in quel lavoro che era utile al suo corpo; Onesimo, il cristiano, gli era legato dai legami di una fede comune, un rapporto molto più intimo e cordiale di quello offerto da qualsiasi legame terreno.

Essendo questo il vero stato di cose, essendo le circostanze del ritorno dello schiavo come quelle appena illustrate, l'apostolo potrebbe esortare: Se dunque mi consideri un compagno, accoglilo come me stesso. Paolo qui ricorda a Filemone che la loro relazione non era semplicemente quella di amici o compagni secondo la maniera del mondo, ma quella di partecipi di una fede comune. Solo questo fatto poneva Filemone in obbligo nei confronti di Paolo; poiché negare la sua richiesta significava dichiarare la fine della comunione che li univa in Cristo.

Una tale contingenza, tuttavia, essendo impensabile, l'apostolo supplica Filemone di accettare Onesimo come se lui stesso si trovasse lì. Ciò includeva che non pensasse di infliggere la pena che le leggi gli consentivano di infliggere, cioè quella di marchiare il fuggitivo e persino di metterlo a morte, ma che facesse una confessione libera e inequivocabile della fratellanza cristiana perdonando il torto che aveva sofferto, e ricevendo Onesimo in quello spirito.

Facendo seguito al vantaggio che questo argomento gli ha dato con un altro, l'apostolo scrive: Ma se ti ha fatto un torto o ti deve qualcosa, addebitalo a me. Io, Paolo, l'ho scritto di mia mano, lo ripagherò; senza menzionare il fatto che a me devi anche te stesso. Qui san Paolo rimuove una possibile difficoltà che potrebbe ostacolare una riconciliazione come l'ha voluta.

Indubbiamente l'offesa di Onesimo era di aver sottratto o rubato alcuni dei beni del suo padrone prima di fuggire. Allo stesso tempo, naturalmente, aveva privato Filemone dei suoi servigi durante la sua assenza, fatto che naturalmente aveva provocato qualche danno al maestro. Ma Paolo, con caratteristica energia, rimosse questa difficoltà. Garantiva personalmente il pagamento del denaro, se Filemone avesse voluto insistere sull'indennizzo; sia addebitato sul suo conto personale: si è impegnato, con la propria grafia: a sopperire alla mancanza.

Allo stesso tempo, però, con una figura retorica che metteva in risalto il debito di Filemone nel modo più forte possibile: esortava l'amico colosseo a ricordare il suo obbligo nei suoi confronti, cioè che era dovuto al suo lavoro nel Vangelo che Filemone era ormai il possessore delle più alte e più grandi benedizioni della vita, quelle garantite dalla redenzione di Cristo. In realtà S.

Paolo intende fiaccare, Filemone gli doveva molto più di quanto Onesimo fosse in debito, e poteva quindi permettersi di trascurare la trasgressione dello schiavo. Implorante, quindi. l'apostolo aggiunge: Sì, fratello, fa' che io abbia profitto da te; rinfresca il mio cuore in Cristo. Anche qui c'è un gioco sul nome di Onesimo, poiché l'apostolo chiede a Filemone di accordargli i servizi filiale che può ben aspettarsi, e quindi di ristorare il suo cuore che è stato turbato a causa di questa faccenda.

La vera fonte del sollievo offerto da un'azione del genere da parte di Filemone sarebbe, naturalmente, il Signore, che lo renderebbe disposto a compiere il dovere che gli stava davanti con un cuore volenteroso.

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