1 Samuele 3:8

I. Possiamo definire una chiamata, come di solito intesa, come un'intima convinzione dell'anima che tale e tale è la volontà di Dio su di essa, accompagnata da un irresistibile desiderio di obbedire alla convinzione. In questi casi è necessario un test. Non c'è forse grado di autoinganno a cui non possa essere condotto un individuo che concentra tutti i suoi pensieri e le sue meditazioni sulle emozioni interne di cui è sensibile.

Di qui la necessità di erigere un tribunale esterno, al quale riferire il giudizio della convinzione interiore, e per mezzo del quale si possa vedere se la voce che è diffusa nei nostri cuori, commovente e commovente, è in armonia con la voce dei genitori e dei fratelli e sacerdote, affinché possiamo, con Eli, percepire con certezza se il Signore ha chiamato suo figlio.

II. C'è un altro criterio con il quale gli uomini potrebbero spingersi lontano per accertare la natura di quelle sensazioni interne di cui parlano, cioè il criterio delle circostanze esteriori. Per testare il feeling, vogliamo qualcosa che sia il più lontano possibile da ciò che è eccitante. Nella maggior parte dei casi si può ragionevolmente presumere che ciò che siamo è ciò che Dio vorrebbe che fossimo; la stazione della vita in cui ci troviamo è quella che Egli vorrebbe farci riempire.

Quando, quindi, sembriamo essere divinamente condotti a una condotta straordinaria, non è vana prudenza a chiederci se le circostanze esteriori tendano a incoraggiarci oa dissuaderci. Gli appelli ad abbandonare la nostra posizione attuale dovrebbero essere esaminati rigidamente, se non fossimo ingannati come anime instabili, e alla fine si dimostrasse che abbiamo abbandonato le nostre stesse misericordie.

Bishop Woodford, Sermoni predicati in varie chiese, p. 193.

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