IO.

(1-5) Non è un maestro costituito da sé il quale si rivolgono ai Galati, ma un Apostolo che, come i Dodici prescelti, aveva ricevuto il suo incarico, non da una fonte umana o attraverso un agente umano, ma direttamente da Dio e Cristo. In quanto tale, egli e i suoi compagni che sono con lui salutano cristianamente le chiese galate, invocando su di esse la più alta delle benedizioni spirituali da parte di Dio, Padre comune di tutti i credenti, e di quel Redentore la cui opera salvifica hanno negato e, con la loro ricaduta nei modi del mondo che li circonda, praticamente frustrato.


San Paolo aveva un duplice scopo nello scrivere ai Galati. Avevano disprezzato la sua autorità, ed erano ricaduti dalla vera visione spirituale del cristianesimo - in cui tutto era dovuto alla grazia e all'amore divini manifestati nella morte di Cristo - a un sistema di cerimoniale ebraico. E proprio all'inizio della sua Lettera, nel saluto stesso, l'Apostolo li incontra su entrambi questi punti.

Da un lato afferma il fondamento divino dell'autorità che egli stesso rivendicava; e dall'altro coglie l'occasione per affermare con enfasi l'opera redentrice di Cristo, e il suo scopo di liberare l'umanità da quell'ambiente malvagio in cui i Galati sembravano cadere di nuovo.

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