Le lingue sono un segno, non per i credenti, ma per i non credenti, secondo ciò che la legge (sotto la quale comprende il profeta Isaia, XXviii. 11.) disse: In altre lingue e in altre labbra, parlerò a questo popolo: e nemmeno così mi ascolteranno. San Paolo qui dà il senso, più che le parole del profeta, e le espone di ciò che accadde particolarmente nel giorno di Pentecoste, quando il dono miracoloso delle lingue aveva lo scopo di colpire con ammirazione il popolo incredulo, e di portarlo in seguito alla vera fede: ma quando aggiunge, quellole lingue non sono per i credenti, e che le profezie non sono per i non credenti, non può significare che le lingue, usate con discrezione, potrebbero non essere utili anche ai credenti, o che le profezie e le istruzioni potrebbero non essere utili anche ai non credenti, così come ai credenti; poiché ciò significherebbe contraddire quanto insegna in questo capitolo, e particolarmente (vers.

24.) dove dice che per profezia l'infedele è convinto, &c. San Paolo, il cui disegno in tutto questo capitolo è di regolare gli incontri, perché siano condotti con maggiore edificazione, e per l'istruzione, sia dei cristiani che dei non credenti, ringrazia Dio, che ha il dono delle lingue più di loro , ma dice che nella Chiesa, o in tali riunioni ecclesiastiche, doveva piuttosto, per l'edificazione comune degli altri, pronunciare cinque parole, ecc. di diecimila parole, ecc. e così conclude: (vers. 39.) siate zelanti nel profetizzare e proibite di non parlare in altre lingue. (Conam)

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