capitolo 16

LA NOSTRA CITTÀ E IL NOSTRO RE IN ARRIVO.

Filippesi 3:20 (RV)

Vivere in mezzo alle cose, della terra, e in costante conversare con esse, una vita nella potenza della risurrezione di Cristo e nella comunione delle sue sofferenze, era la linea scelta dall'Apostolo; in cui avrebbe avuto i Filippesi a seguirlo. Per un momento si era discostato per tracciare, per avvertimento, la via dei trasgressori, che passano la vita intenti alle cose che passano. Ora chiude l'argomento, proclamando ancora una volta la gloria dell'alta vocazione in Cristo.

Come la fede cristiana guarda indietro al trionfo della risurrezione di Cristo, e alla mitezza della sua sofferenza, e trae ispirazione da esse, così anche guarda in alto e guarda avanti. Anche adesso è in comunione abituale con il mondo in alto; e si protende verso la speranza del ritorno del Signore.

"La nostra cittadinanza è in paradiso". La parola qui usata Filippesi 1:27 significa la costituzione o il modo di vivere di uno stato o di una città. Tutti gli uomini traggono molto dallo spirito e dalle leggi della comunità a cui appartengono; e nell'antichità questa influenza era persino più forte di quanto comunemente troviamo che sia ai nostri giorni. L'individuo era cosciente di se stesso come membro della propria città o stato.

La sua vita avvolgeva la sua. Le sue istituzioni gli fissavano le condizioni in cui la vita veniva accettata e si svolgeva. Le sue leggi determinavano per lui i suoi doveri e i suoi diritti. I metodi antichi e consueti della società svilupparono uno spirito comune, sotto l'influenza del quale ogni cittadino dispiegava le proprie peculiarità personali. Quando usciva altrove, si sentiva, e si sentiva, un estraneo.

Ora nel regno celeste, che li aveva reclamati e si era loro aperto per mezzo di Cristo, i credenti avevano trovato la loro propria città; e trovandolo, erano diventati, relativamente, estranei in ogni altro.

In tutto il mondo prevale un modo di pensare e di agire, come se la terra ei suoi interessi fossero l'intera sfera dell'uomo; ed essendo pervaso da questo spirito, il mondo intero può dirsi una repubblica con uno spirito e con massime proprie. Noi, che ci viviamo, ci sembra naturale assecondare la deriva delle cose in questo senso, e difficile opporci ad essa; così che la separazione e la singolarità sembrano irragionevoli e difficili.

Rivendichiamo per la nostra vita il sostegno di una comprensione comune; aneliamo al conforto di un sistema di cose esistente intorno a noi, in cui possiamo trovare sostegno. Contro i cristiani dei primi tempi si insisteva che la loro religione fosse asociale: spezzava i legami mediante i quali gli uomini si tenevano insieme; e senza dubbio molti cristiani, nelle ore della prova e della depressione, sentivano con dolore che molto nella vita cristiana offriva un fondamento per il rimprovero.

D'altra parte, coloro che, come i nemici della croce, riferiscono la loro vita al metro del mondo, piuttosto che a quello di Cristo, hanno almeno questo conforto, che hanno una città tangibile. Il mondo è la loro città: perciò anche il principe di esso è il loro re. Ma l'Apostolo, per sé e per i suoi simili, contrappone ad essa la vera città o stato, con le sue più originarie ed antiche sanzioni; con le sue leggi più autorevoli; con il suo spirito molto più pervasivo e potente, poiché lo Spirito di Dio stesso è la vita che unisce tutti i suoi; col suo Re glorioso e benevolo.

Questo Commonwealth ha la sua sede in cielo; perché là rivela la sua natura, e di là discende la sua potenza. Lo riconosciamo ogni volta che preghiamo: "Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo". Questa, dice l'Apostolo, è la nostra cittadinanza. L'arcaismo della Versione Autorizzata, "La nostra conversazione" (cioè il nostro modo di vivere abituale) "è in cielo", esprime gran parte del significato; solo la "conversazione" è riferita, dalla frase impiegata nel testo, alle sanzioni sotto cui procede, all'augusta comunione da cui è sostenuta, alla fonte di influenza dalla quale è continuamente vivificata. Il nostro stato, e la vita che come membri di quello stato rivendichiamo e usiamo, è celeste. La sua vita e forza, la sua gloria e vittoria, sono nei cieli. Ma è nostro, anche se siamo qui sulla terra.

Perciò, secondo l'Apostolo, la misura della nostra vita, e le sue sanzioni, e il suo modo di pensare e di procedere, e, in una parola, la nostra città, con i suoi interessi e i suoi oggetti, essendo in cielo, l'affare serio del nostro la vita è lì. Abbiamo a che fare con la terra costantemente e nei modi più vari; ma, come cristiani, il nostro modo di avere a che fare con la terra stessa è celeste, ed è di avere dimestichezza con il cielo.

Ciò che principalmente amiamo e cerchiamo è in paradiso; ciò che più ascoltiamo è la voce che viene dal cielo; ciò di cui parliamo più sinceramente è la voce che inviamo al cielo; ciò che sta accanto al nostro cuore è il tesoro e la speranza che sono al sicuro nel cielo; siamo più intenti a ciò che riponiamo in cielo e come ci prepariamo per il paradiso; c'è Uno in cielo che amiamo più di tutti gli altri; siamo figli del regno dei cieli; è il nostro paese e la nostra casa; e qualcosa in noi si rifiuta di stabilirsi su quelle cose qui che rifiutano l'impronta del cielo.

Questo va troppo in alto? Qualcuno dice: "Qualcosa in questa direzione mi attrae e io mi protendo verso di essa, ma ah! come debolmente"? Allora con quanta forza si applica il principio dell'ammonimento dell'Apostolo. Se riconosciamo che questa città giustamente ci rivendica, se siamo profondamente consapevoli di essere carenti nella nostra risposta a tale pretesa, allora quanto ci preoccupa non permettere a nessuna cosa terrena che per sua natura ci trascini dalla nostra cittadinanza celeste.

È in paradiso. In molti modi potrebbe essere dimostrato che è così; ma basta riassumere tutto in questo, che lì ha la sua presenza Uno, che è la Vita e il Signore di questa nostra città, che si prende cura di noi, ci chiama alla comunione presente con Lui che si può raggiungere in una vita di fede, ma soprattutto (perché questo include tutto il resto) che cerchiamo, che esca dal cielo per noi. Egli ha già compiuto prodigi per instaurarci la grazia del regno dei cieli, e ad esso ci ha introdotti; Egli fa molto per noi ogni giorno nella grazia e nella provvidenza, sostenendo la Sua Chiesa sulla terra di età in età; ma questo "lavoro" sta procedendo verso una vittoria finale.

Egli è "capace di sottomettere tutte le cose a Sé". E la prova enfatica che attende tutti i credenti è che il corpo stesso, ricostituito a somiglianza di quello di Cristo, sarà finalmente in piena armonia con un destino di immortale purezza e gloria. Così la manifestazione della Sua potenza e grazia alla fine travolgerà tutto il nostro essere, dentro e fuori. Questo è il trionfo finale della salvezza, con cui la lunga storia trova tutti i suoi risultati raggiunti. Per questo aspettiamo la venuta del Salvatore dal cielo. Ebbene dunque possiamo dire che lo stato al quale apparteniamo, e la vita che teniamo come membri di quello stato, è in cielo.

L'attesa della venuta di Cristo fuori dal mondo di suprema verità e purezza, dove Dio è conosciuto e servito rettamente, per adempiere tutte le sue promesse, è questa la grande speranza della Chiesa e del credente. Essa ci viene proposta nel Nuovo Testamento come motivo di ogni dovere, come peso ad ogni monito, come determinazione dell'atteggiamento e del carattere di tutta la vita cristiana. In particolare, non possiamo trattare rettamente nessuna delle cose terrene che ci sono state affidate, a meno che non le affrontiamo alla luce dell'attesa venuta di Cristo.

Questa aspettativa deve entrare nel cuore di ogni credente e nessuno è autorizzato a trascurarla oa prenderla alla leggera. La Sua venuta, la Sua apparizione, la rivelazione di Lui, la rivelazione della Sua gloria, la venuta del Suo giorno, e così via, sono continuamente pressate su di noi. In una vera attesa del giorno di Cristo si raccoglie la retta considerazione di ciò che fece e sopportò quando venne prima, e anche la retta considerazione di Lui, poiché ora è il pegno e il sostenitore della vita della nostra anima: l'unico e gli altri devono passare alla speranza della sua apparizione.

Qualche danno è stato fatto, forse, dal grado in cui l'attenzione è stata concentrata su punti discutibili circa il tempo della venuta del Signore, o l'ordine degli eventi in relazione ad esso; ma più per la misura in cui i cristiani hanno permesso all'indole incredulo del mondo di influenzare su questo punto l'abito della loro mente. Bisogna dire molto seriamente che nostro Signore stesso si aspettava che nessun uomo riuscisse a sfuggire alla corruzione del mondo e a perseverare fino alla fine, se non nel modo di vegliare per il suo Signore. vedi Luca 12:35 -ma i passaggi sono troppo numerosi per essere citati

E l'Apostolo pone l'accento sul carattere in cui lo aspettiamo. La parola "Salvatore" è enfatica. Cerchiamo un Salvatore; non solo uno che ci ha salvati una volta, ma uno che porta con sé la salvezza quando viene. È il grande bene, nella sua completezza, che la Chiesa vede venire a lei con il suo Signore. Ora ne ha la fede, - e con la fede un sincero e pregustato, - ma poi viene la salvezza.

Perciò si parla della venuta come dell'avvicinarsi della redenzione, come del tempo della redenzione del possesso acquistato. Così anche nell'Epistola ai Galati si dice che la fine del sacrificio di Cristo è quella di "liberarci da questo presente mondo malvagio".

Senza dubbio non è saggio assumere posizioni estreme quanto allo spirito con cui dobbiamo trattare le cose temporali, e specialmente i loro aspetti vincenti e attraenti. Gli uomini cristiani, in pace con Dio, non devono solo provare gioia spirituale, ma possono anche fare un uso gioioso delle misericordie passeggere. Tuttavia, certamente la speranza del cristiano è di essere salvato fuori da questo mondo, e dalla vita come la conosce qui, in uno stato di gran lunga migliore, dallo stato migliore e più luminoso a cui questo stato di cose attuale può portarlo.

Lo spirito cristiano sta cedendo in quell'uomo che, in qualunque posizione delle sue faccende mondane, non sente che il presente è uno stato invischiato con il male, inclusa molta oscurità e molto allontanamento dal vero riposo dell'anima. Dovrebbe avere la mente in modo da possedere la speranza di esserne salvato, guardando e affrettandosi alla venuta del Signore.

Se vivessimo questa convinzione con una certa coerenza, non dovremmo sbagliare molto nei nostri rapporti con questo mondo attuale. Ma probabilmente non c'è caratteristica in cui il cristianesimo medio odierno vari più da quello dei primi cristiani, che nelle deboli impressioni e nella debole influenza, sperimentate dalla maggior parte dei cristiani moderni in relazione all'attesa del ritorno del Signore.

Per quanto riguarda la vita individuale, la posizione degli uomini in entrambi i periodi è più o meno la stessa; è così, nonostante tutti i cambiamenti avvenuti. Allora, come oggi, il miraggio della vita tentava qui gli uomini di sognare felicità, che impedivano loro di alzare il capo verso una prospettiva di redenzione. Ma ora, come allora, le contro-influenze funzionano; il breve e precario periodo della vita umana, le sue delusioni, i suoi affanni e dolori, i suoi conflitti e le sue cadute, cospirano per insegnare anche al cristiano più riluttante che qui non si trova il riposo finale e soddisfacente.

Sicché la differenza sembra nascere principalmente da una segreta mancanza di fede su questo punto, per l'impressione fatta da lunghe epoche in cui Cristo non è venuto. "Dov'è la promessa della Sua venuta? Tutte le cose continuano come erano."

Ciò può suggerire, tuttavia, che sono riconoscibili influenze, tendenti a formare, nei cristiani moderni, un'abitudine di pensiero e sentimento meno favorevole alla vivida aspettativa della venuta di Cristo. Non nasce tanto in relazione all'esperienza individuale, quanto piuttosto è un'impressione tratta dalla storia e dalla vita comune degli uomini. Ai tempi di Paolo, la storia generale era semplicemente scoraggiante per le menti spirituali.

Ha portato gli uomini a pensare a tutta la creazione che gemeva insieme. La civiltà aveva certamente fatto progressi; il governo civile aveva conferito alcuni dei suoi benefici agli uomini; ed ultimamente la forte mano di Roma, per quanto forte potesse premere, aveva scongiurato o ridotto alcuni de' mali che affliggevano le nazioni. Tuttavia, nel complesso, l'oscurità, la corruzione e il male sociale continuavano a segnare la scena, e c'era poco da suggerire che uno sforzo prolungato potesse gradualmente portare a un miglioramento.

Sembrava piuttosto che una rapida dispensazione della grazia, facendosi strada con un'energia soprannaturale, potesse ben condurre alla conclusione dell'intera scena; spazzando via tutto prima dell'avvento di nuovi cieli e di una nuova terra. Ma per noi sono passati quasi millenovecento anni. La Chiesa cristiana si è confrontata per tutto questo tempo con il suo grande compito; e per quanto imperfetti siano stati spesso la sua luce ei suoi metodi, ha messo in atto processi, e ha proseguito in linee d'azione, nelle quali non è stata senza ricompensa.

Anche l'azione pubblica almeno delle razze europee, stimolate e guidate dal cristianesimo, è stata ispirata dalla fede nel progresso e in un regno di giustizia, e si è adoperata per migliorare le condizioni degli uomini. Quanto del peccato e del dolore affligga ancora il mondo è troppo tristemente evidente. Ma la memoria delle vite successive di santi, pensatori, uomini di spirito pubblico e di devota azione pubblica, è oggi forte nelle menti cristiane: è una storia lunga e animata.

E mai come in questo momento il mondo si è esercitato nella mente cristiana come la sfera dello sforzo, della realizzazione utile e di speranza. Tutto questo tende a fissare l'occhio su ciò che può accadere prima della venuta di Cristo; perché si chiede spazio e tempo per combattere la battaglia, per vedere i lunghi processi cooperativi convergere verso il loro obiettivo. Il conflitto è pensato come un conflitto da lasciare in eredità, come la battaglia per la libertà, da padre a figlio, attraverso periodi indefiniti oltre i quali gli uomini non molto spesso guardano.

E, in effetti, il miglioramento del mondo e il rimedio dei suoi mali mediante le opere di fede e di amore sono opere simili a quelle di Cristo. Il mondo non può volerlo; il suo frutto non sarà trattenuto; e l'ardore speranzoso con cui è perseguito è il dono di Cristo al suo popolo. Poiché Cristo stesso guarì e sfamò le moltitudini. Eppure tutto questo non sostituirà la venuta di Cristo, e la redenzione che si avvicina con Lui, gli occhi bramosi che guardano nelle prospettive della beneficenza di spirito pubblico e della filantropia cristiana, fanno bene; ma devono anche guardare più in alto e più avanti.

Una cosa va detta. È vano per noi supporre di poter aggiustare in anticipo, a nostro piacimento, gli elementi che entrano nel futuro, in modo da farne uno schema ben congegnato. Quello non è stato progettato. E in questo caso due modi di guardare al futuro tendono a lottare insieme. L'uomo che è occupato con processi che, come egli concepisce, potrebbe sfociare in un regno di bontà raggiunto da un graduale miglioramento, da successive vittorie della causa migliore, può guardare con sospetto la promessa della venuta di Cristo, perché non ama la catastrofe e il cataclisma.

Prima la lama, poi la spiga, poi la spiga piena, è il suo motto. E l'uomo che è pieno del pensiero del ritorno del Signore, e profondamente persuaso che niente di meno estirperà la malattia del mondo, può guardare con impazienza a misure che sembrano mirare a risultati lenti e lontani. Ma né l'uno né l'altro modo di vedere devono essere sacrificati. Il lavoro deve essere svolto nel mondo secondo le linee che promettono meglio di benedire il mondo. Eppure anche questa fede non deve mai essere delusa: il Signore viene; il Signore verrà.

Quanto è decisivo il cambiamento che Cristo compie alla sua venuta - come è caratteristica, quindi, e non mondana, quella cittadinanza che prende il suo tipo dal cielo dove Egli è, e dalla speranza della sua apparizione - è per ultimo esposto. Paolo potrebbe essersi soffermato su molte grandi benedizioni il cui pieno significato sarà svelato quando Cristo verrà; poiché Egli deve conformare tutte le cose a Sé. Ma Paolo preferisce segnalare ciò che accadrà ai nostri corpi; perché questo ci fa sentire che nessun elemento nel nostro stato mancherà di essere sottoposto all'energia vittoriosa di Cristo.

I nostri corpi sono, nel nostro stato attuale, vistosamente refrattari alle influenze del regno superiore. La rigenerazione non apporta miglioramenti su di essi. Nel nostro corpo portiamo con noi ciò che sembra deridere l'idea di una vita eterea e ideale. E quando moriamo, la corruzione della tomba parla di tutt'altro che di speranza. Ecco, dunque, proprio in questo punto la salvezza di Cristo completerà il suo trionfo, salvandoci in tutto e per tutto. Egli «rimodellerà il corpo della nostra umiliazione, perché sia ​​conforme al corpo della sua gloria».

Per l'apostolo Paolo la questione di come il corpo debba essere preso in considerazione in ogni nobile concezione della vita umana aveva un interesse particolare. Si vede come la sua mente vi si soffermasse. Non imputa infatti al corpo alcun antagonismo originale o essenziale per la vita migliore dell'anima. Ma partecipa allo svilimento e alla disorganizzazione impliciti nel peccato; è diventata la via pronta per molte tentazioni. Attraverso di essa l'uomo è divenuto partecipe di una terrena vivida e ininterrotta, contrastando fin troppo tristemente con la debolezza delle impressioni e degli affetti spirituali, tanto che l'equilibrio del nostro essere è squilibrato.

Né la grazia influisce direttamente sulle condizioni corporee degli uomini. Ecco dunque un elemento di una vita rinnovata che ha una peculiare refrattarietà e irreattività. Tanto è questo che il peccato nella nostra natura complessa gira facilmente in questo modo, trova facilmente risorse in questo quartiere. Quindi il peccato in noi prende spesso la sua denominazione da questo lato delle cose. È la carne, e la mente della carne, che deve essere crocifissa.

D'altra parte, proprio perché la vita per noi è vita nel corpo, allora il corpo con le sue membra deve essere portato al servizio di Cristo, e deve compiere la volontà di Dio. "Rendete i vostri corpi un sacrificio vivente." "I vostri corpi sono templi dello Spirito Santo". Un cristianesimo disincarnato non è per l'apostolo cristianesimo. Possono esserci difficoltà, infatti, nel portare a termine questa consacrazione, elementi di resistenza e di insubordinazione da superare.

Se è così, devono essere combattuti. "Mi tengo sotto il mio corpo e lo sottometto, per timore di dimostrarmi un naufrago." Essere meticolosi in questo si dimostrò difficile anche per Paolo. "Chi mi libererà dal corpo di questa morte?"-testo in cui si vede come il "corpo" si offrisse come il simbolo pronto di tutto il peso e la difficoltà interiori. Quindi il corpo è morto a causa del peccato: morente, atto a morire, destinato a morire, e non ora rinnovato alla vita.

"Ma se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita in voi". Allora si scoprirà che i limiti ora imposti al retto pensare, al retto sentimento, al retto agire, saranno scomparsi. Fino ad allora gemiamo, aspettando l'adozione, la redenzione del corpo; ma allora sarà la manifestazione dei figli di Dio. Per Paolo questo è apparso come una delle forme più definite, pratiche e decisive in cui dovrebbe essere dichiarato il trionfo della salvezza di Cristo.

Il corpo, dunque, mediante il quale conversiamo con il mondo e mediante il quale diamo espressione alla nostra vita mentale, ha partecipato al male che viene dal peccato. Troviamo che sia il corpo della nostra umiliazione. Non solo è soggetto al dolore, al decadimento e alla morte, non solo è soggetto a molte cose umilianti e angoscianti, ma è diventato un organo inadatto per un'anima che aspira. Lo stato corporeo appesantisce l'anima, quando le sue aspirazioni al bene sono state riaccese.

Non è del tutto slegato dal nostro stato fisico il fatto che sia così difficile portare il riconoscimento di Dio e la vita di fede nell'andirivieni della vita esteriore; così difficile sposare le persuasioni della nostra fede con le impressioni dei nostri sensi. Ma attendiamo con impazienza la venuta di nostro Signore con l'aspettativa che il corpo della nostra umiliazione sarà trasfigurato a somiglianza del corpo della Sua gloria. In questo discerniamo con quale energia pervasiva Egli è per sottomettere tutte le cose a Sé. L'amore nella rettitudine è trionfare in tutte le sfere.

Abbiamo più volte riconosciuto quanto sia naturale sognare di costruire una vita cristiana sulla terra con tutti i suoi elementi, naturali e spirituali, perfettamente armonizzati, ciascuno avendo il suo posto in relazione a ciascuno per fare musica di un tutto perfetto. E in forza di un tale sogno, alcuni guardano dall'alto in basso tutta la pratica cristiana come cieca e angusta, che sembra loro rovinare la vita contrapponendone un elemento all'altro.

Bisogna ammettere che i tipi ristretti di cristianesimo hanno spesso offeso inutilmente così. Tuttavia abbiamo qui una nuova prova che il sogno di coloro che vorrebbero raggiungere una perfetta armonia, nello stato presente e nelle condizioni presenti, è vano. Una perfetta armonia di vita cristiana non può essere restaurata nel corpo della nostra umiliazione. La parte più nobile è riconoscerlo, e confessare che in mezzo a tanti buoni doni immeritati, eppure, in relazione alla grande speranza posta davanti a noi, gemiamo aspettando la redenzione; quando Cristo, che ora ci permette di correre la corsa e di portare la croce, verrà e ci salverà da tutto questo, trasformando il corpo della nostra umiliazione a somiglianza del corpo della sua gloria.

Contro le vie dell'ipocrisia ebraica e contro gli impulsi delle menti carnali, l'Apostolo aveva posto il vero cristianesimo: i metodi in cui cresce, le influenze su cui si basa, le verità e le speranze da cui è principalmente sostenuto, l'alta cittadinanza che rivendica e al tipo di cui si adegua risolutamente. Tutto questo era possibile in Cristo, tutto questo era attuale in Cristo, tutto questo era loro in Cristo.

Eppure questo è ciò che viene messo in discussione, dall'incredulità e dal peccato; questo contro l'incredulità e il peccato deve essere mantenuto. Alcune influenze arrivano a scuoterci per quanto riguarda la verità: "Non è poi così reale". Alcune influenze vengono a scuoterci per quanto riguarda il bene di esso: "Non è dopo tutto così molto, così supremamente, così soddisfacentemente buono". Alcune influenze arrivano a scuoterci per quanto riguarda la nostra parte in esso: "Non può controllare e sostenere la mia vita, perché dopo tutto, forse - ahimè, molto probabilmente - non è per me, non può essere per me.

Contro tutto ciò dobbiamo prendere posizione, in e con il nostro Signore e Maestro. Egli è la nostra fiducia e la nostra forza. Quanto desiderava l'Apostolo che questa vittoria si realizzasse nel caso di tutti questi Filippesi, che erano il tesoro e il frutto della sua vita e del suo lavoro! Sii deciso su tutto questo, sii chiaro su di esso, est ogni altro modo da te. "Perciò, miei dilettissimi fratelli, mia gioia e mia corona, quindi state saldi nel Signore, miei carissimi ."

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