È evidente che l'apostolo qui si rivolse all'ebreo, anche se non gli fece subito il nome. Ha accusato l'ebreo del peccato di praticare gli stessi mali che ha condannato nei pagani. Egli è almeno un grande fallimento quanto il Gentile in materia di effettiva rettitudine. La pietà, come relazione privilegiata, non ha alcun valore se non perché produce effettiva giustizia.

Nei versetti Rm 2,21-23 l'apostolo dichiarò il fallimento etico dell'ebreo. Lo ha fatto ponendo una serie di domande, ognuna delle quali inferenzamente accusa queste persone di un'effettiva mancanza di condotta nelle stesse questioni che sono regolate dalla legge per la quale si battono e che si professano di insegnare.

Sulla base dell'argomento precedente l'apostolo ora accusò l'ebreo di quello che è il suo peccato principale e più terribile. Era diventato un bestemmiatore del nome di Dio tra i pagani. Se i Gentili avevano una luce imperfetta, avrebbero dovuto ricevere la luce più perfetta dal popolo, il quale, manifestandosi da sé, prendeva il posto di guida, luce, correttore e maestro. Ma poiché nella realtà della loro condotta esteriore avevano commesso gli stessi peccati condannati dalla loro legge, i Gentili non avevano visto motivo di credere, attraverso la loro testimonianza, nell'unico Dio vivente, al quale i Giudei professavano di essere imparentati. Il suo nome, quindi, era stato bestemmiato tra loro dal fallimento ebraico.

Quindi segui le dichiarazioni conclusive dell'apostolo riguardo a Israele. I privilegi concessi sono tutti privi di valore. Così è ancora la dottrina della giustificazione per fede che non emette nelle opere dichiarate false. I principi alla base di questo passaggio sono di valore permanente e di potere di ricerca.

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