2 Tessalonicesi 2:1

I. La prima parte di questa seconda Epistola mira ad ampliare la visuale dei Tessalonicesi converte al futuro la futura beatitudine dei credenti, la futura rovina dei ribelli. La seconda parte, abbracciata in questo capitolo, cerca di proteggerli in anticipo dall'illusione sulla vicinanza di quel futuro e dal danno che produrrebbe l'amore di tale illusione. L'Apostolo desidera che siano preavvertiti con l'avvertimento.

Il suo scopo principale è di imprimere nelle loro menti l'unica verità, che l'atteggiamento appropriato da assumere verso il giorno del Signore non è quello di oziosa curiosità, ma di fede ferma e serena. Lo spirito di inquieta eccitazione escatologica incontra, prima o poi, solo delusione. Non porta con sé alcun aumento di gioiosa speranza; in definitiva serve piuttosto il servizio del mondo.

Qualunque sia il valore dello studio apocalittico, esso deve sempre, come queste stesse Epistole illustrano in modo così sorprendente, trovare il suo principio di equilibrio e di regolazione nello studio dell'etica cristiana e nell'omaggio dell'opera cristiana.

II. Il giorno del Signore non sarà "se prima non venga l'abbandono". Crisostomo dice curiosamente: "Egli chiama l'Anticristo stesso l'apostasia, poiché sta per distruggere molti e farli cadere". Ma ovviamente questa apostasia è piuttosto quella che deve semplicemente precedere e inaugurare la rivelazione del grande apostata stesso, "l'uomo del peccato". Non è descritto come un ideale, ma come un personaggio storico l'uomo che è considerato l'incarnazione stessa di tutto il male, l'orrenda consumazione e manifestazione di tutto ciò che il peccato può fare dell'uomo.

La depravazione è in lui personificata. Il santuario o santuario più intimo, in cui deve prendere posto, non deve essere spiegato con rigida letteralità come riferito al tempio di Gerusalemme. Dobbiamo considerarla come rappresentante della Chiesa di Cristo non una struttura materiale, come quella di San Pietro a Roma, ma la compagnia universale dei professi credenti. "Si propone come Dio". È l'atto di colui che, mentre è, come mai l'uomo è stato prima, il rappresentante del male, si rappresenta nella propria persona e nelle opere, come manifestazione individuale della potenza e della grazia divina.

J. Hutchison, Lezioni sui Tessalonicesi, p. 280.

Riferimento: 2 Tessalonicesi 2:3 . Omilista, vol. vi., pag. 392.

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