I padri hanno mangiato un'uva acerba... — Il proverbio era uno che, come troviamo da Ezechiele 18:2 , era entrato in quel tempo di uso comune. Gli uomini trovavano in essa una spiegazione delle loro sofferenze che alleviava le loro coscienze. Soffrivano, dicevano, per i peccati dei loro padri, non per i loro.

Distorcevano le parole che, come asserire la continuità della vita nazionale, erano annesse al secondo comandamento ( Esodo 20:5 ), e invece di trovare in esse un avvertimento che li tratteneva dal male per paura di trasmettere il male a un'altra generazione, essi trovato in loro un motivo per la propria incoscienza. Sia Ezechiele che Geremia sentivano che era giunto il momento in cui, anche a rischio di un'apparente contraddizione con parole rivestite di un'autorità divina, si doveva affermare in tutta la sua pienezza l'altro aspetto del governo di Dio: e perciò mettono l'accento sul verità che ogni uomo è responsabile dei propri atti, e solo di quelli, e che la legge dell'eredità del male (quella che abbiamo imparato a chiamare la legge dell'hérédité ) lascia intatta la libertà della volontà dell'uomo.

Il "mangiatore dell'uva acerba, gli si allargheranno i denti", è, per così dire, un emendamento del proverbio detto. Le parole del poeta latino, "Delicta majorum imeritus lues", "Tu, per nessuna tua colpa, pagherai il perdono dei peccati dei tuoi padri" (Hor. Od. iii. 6, 1), mostrano quanto gli uomini siano pronti stato in ogni momento per fare una scusa simile. Come si conciliano le due verità, la legge delle tendenze ereditarie e delle punizioni che ricadono non sui colpevoli originari, ma sui loro figli, e la legge della responsabilità individuale, è una domanda alla quale non possiamo dare una risposta formale. Dobbiamo accontentarci di accettare entrambe le leggi e riposare nella convinzione che il giudice di tutta la terra farà sicuramente bene.

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