(5-8) Da un'introduzione pratica, nella familiare esortazione a seguire l'esempio di nostro Signore, san Paolo passa a quella che è, forse, l'affermazione più completa e formale in tutte le sue epistole della dottrina della sua «grande umiltà." In questo egli segna, in primo luogo, l'Incarnazione, nella quale, «essendo in forma di Dio, prese su di Lui forma di servo», assumendo un'umanità senza peccato ma finita; e poi la Passione, resa necessaria dai peccati degli uomini, e nella quale la sua natura umana fu umiliata alla vergogna e all'agonia della croce.

Inseparabili in se stessi, questi due grandi atti del suo amore oblativo devono essere distinti. L'antica speculazione si dilettava a suggerire che la prima avrebbe potuto esserlo, anche se l'umanità fosse rimasta senza peccato, mentre la seconda fu aggiunta a causa della caduta e delle sue conseguenze. Tali speculazioni sono, infatti, del tutto precarie e prive di sostanza, poiché non possiamo chiederci cosa avrebbe potuto essere in una dispensazione diversa dalla nostra; e, inoltre, leggiamo di nostro Signore come "l'Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo" ( Apocalisse 13:8 ; vedi anche 1 Pietro 1:19 ) - ma almeno indicano una vera distinzione. In quanto “Verbo di Dio” manifestato nell'Incarnazione, nostro Signore è il tesoro di tutta l'umanità in quanto tale; come Salvatore attraverso la morte, è il tesoro speciale di noi peccatori.

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