Capitolo 28

IL DOVERE CRISTIANO ALLA LUCE DEL RITORNO DEL SIGNORE E IN

LA FORZA DELLA SUA PRESENZA

Romani 13:11

IL GRANDE Maestro ci ha condotto a lungo sulla via del dovere, nei suoi pazienti dettagli, tutti riassunti nel dovere e nella gioia dell'amore. Lo abbiamo sentito spiegare ai suoi discepoli come vivere insieme come membri del Corpo di Cristo, e come membri anche della società umana in generale, e come cittadini dello Stato. Ultimamente siamo stati occupati con pensieri di tasse, pedaggi e debiti privati, e l'obbligo di scrupolosa rettitudine in tutte queste cose.

Tutto ha avuto relazione con il visto e il temporale. L'insegnamento non si è smarrito in una terra di sogni, né in un deserto e in una cella: ha avuto almeno tanto a che fare con il mercato, e la bottega, e il funzionario laico, come se lo scrittore fosse stato un moralista il cui orizzonte era tutto di questa vita, e che per il futuro era "senza speranza".

Eppure per tutto il tempo il maestro e il maestro erano penetrati e vivificati da una certezza del futuro perfettamente soprannaturale, e comandava lo stupore e la lieta risposta di tutto il loro essere. Portavano con sé la promessa del loro Maestro risorto che sarebbe tornato personalmente di nuovo nella gloria celeste, nella loro gioia infinita, raccogliendoli per sempre intorno a sé nell'immortalità, portando con sé il cielo e trasfigurandoli nella sua stessa immagine celeste.

Attraverso tutte le possibili complicazioni e ostacoli del mondo umano che li circondava, essi videro "quella beata speranza". Tito 2:13 Il fumo di Roma non poteva offuscarlo, né il suo rumore sommergere la musica della sua promessa, né il suo splendore di possedimenti rendere la sua vista dorata meno bella e meno estasiante per le loro anime. Il loro Signore, un tempo crocifisso, ma ora vivo per sempre, era più grande del mondo; più grande nella sua calma e trionfante autorità sull'uomo e sulla natura, più grande nella meraviglia e nella gioia di se stesso, della sua persona e della sua salvezza. Bastava che avesse detto che sarebbe tornato, e che sarebbe stato per la loro felicità eterna. Aveva promesso; quindi sarebbe sicuramente.

Come sarebbe avvenuta la promessa, e quando, era una questione secondaria. Alcune cose furono rivelate e certe, quanto al modo; "Questo stesso Gesù, come l'avete visto andare in cielo". Atti degli Apostoli 1:11 Ma molto di più non è stato rivelato e nemmeno congetturato. Quanto al tempo, le Sue parole li avevano lasciati, come lasciano ancora noi, sospesi in un riverente senso di mistero, tra accenni che sembrano quasi ugualmente promettere velocità e ritardo.

"Guardate dunque, perché non sapete quando verrà il Padrone di casa"; Marco 13:35 "Dopo molto tempo viene il Signore dei servi e fa i conti con loro". Matteo 25:19 Lo stesso Apostolo segue in proposito l'esempio del suo Redentore.

Qua e là sembra indicare un Avvento alle porte, come quando parla di "noi che siamo vivi e rimaniamo". 1 Tessalonicesi 4:15 Ma ancora, in questa stessa Lettera, nel suo discorso sul futuro d'Israele, sembra contemplare grandi sviluppi del tempo e degli eventi ancora a venire; e molto decisamente, da parte sua, in molti luoghi, registra la sua attesa della morte, non di una trasfigurazione immortale alla Venuta.

Molti almeno tra i suoi convertiti guardavano con un'ansia che era talvolta irrequieta e malsana, come a Tessalonica, per il re futuro, e potrebbe essere stato così con alcuni dei santi romani. Ma S. Paolo avvertì subito i Tessalonicesi del loro errore; e certamente questa lettera non suggerisce un tale sconvolgimento dell'aspettativa a Roma.

Il nostro lavoro in queste pagine non è quello di discutere "i tempi e le stagioni" che ora, come allora, sono nella "potenza" del Padre. Atti degli Apostoli 1:7 Si tratta piuttosto di richiamare l'attenzione sul fatto che in tutte le epoche della Chiesa questa misteriosa ma definitiva Promessa si è fatta, con forza silenziosa, come presente e contemporanea all'anima credente e vegliante.

Come alla fine si vedrà che "Io vengo presto" e "Il giorno di Cristo non è in Apocalisse 22:12 ; Apocalisse 22:20 , 2 Tessalonicesi 2:2 erano entrambi divinamente e armoniosamente veritieri, non è ancora pienamente apparire.

Ma è certo che lo sono entrambi; e che in ogni generazione dell'ormai "lungo tempo la Speranza", come se fosse davvero alle porte, è stata calcolata per potenti effetti sulla volontà e sull'opera del cristiano.

Quindi veniamo a questo grande oracolo dell'Avvento, per leggerlo per la nostra epoca. Ora ricordiamo prima la sua meravigliosa illustrazione di quel fenomeno che abbiamo già notato, la concomitanza nel cristianesimo di una fede piena di eternità, con una vita piena di doveri comuni. Ecco una comunità di uomini chiamati a vivere sotto un cielo quasi aperto; quasi di vedere, mentre si guardano intorno, il Signore della gloria discendente che viene a portare nel giorno eterno, facendosi presente in questa scena visibile «con la voce dell'arcangelo e la tromba di Dio», svegliando i suoi santi sepolti dal polvere, chiamando i vivi e i risorti ad incontrarLo nell'aria.

Come possono adeguare tale aspettativa alle esigenze del "giro quotidiano"? Non voleranno dalla Città alla solitudine, alle vette e ai boschi dell'Appennino, ad aspettare con tremenda gioia il grande lampo della gloria? Non così. In qualche modo, mentre "cercano il Salvatore dai cieli", Filippesi 3:20 loro servizio e dei loro affari, pagano i loro debiti e le loro tasse, offrono simpatia ai loro vicini nelle loro tristezze e gioie umane, e rendono onesta lealtà a il magistrato e il principe.

Sono il più stabile di tutti gli elementi della vita civile del momento, se "i poteri costituiti" volessero solo capirli; mentre ancora, per tutto il tempo, sono le uniche persone nella Città la cui casa, consapevolmente, è il paradiso eterno. Cosa può spiegare il paradosso? Nient'altro che il Fatto, la Persona, il Carattere di nostro Signore Gesù Cristo. Non è un entusiasmo, per quanto potente, che li governa, ma una Persona.

Ed Egli è allo stesso tempo il Signore dell'immortalità e il Governatore di ogni dettaglio della vita del Suo servitore. Non è autore di fanatismo, ma Re divino-umano della verità e dell'ordine. Conoscerlo è trovare il segreto sia di una vita eterna che di una fedeltà paziente nella vita che è ora.

Ciò che era vero di Lui è vero per sempre. Il Suo servitore ora, in questa fine irrequieta della diciannovesima età, deve trovare ancora in Lui questo meraviglioso doppio segreto. Egli deve essere, in Cristo, per la natura stessa della sua fede, il più pratico e il più volenteroso dei servi dei suoi simili, nei loro interessi mortali e immortali; mentre è anche svincolato interiormente da una schiavitù al visibile e temporale dalla sua misteriosa unione con il Figlio di Dio e dalla sua ferma attesa del suo ritorno.

E questa, questa legge dell'amore e del dovere, ricordiamo, seguiamo, conoscendo la stagione, l'occasione, la crisi crescente; che è già l'ora del nostro risveglio dal sonno, il sonno della disattenzione morale, come se l'eterno Maestro non fosse vicino. Poiché ora è più vicina la nostra salvezza, in quell'ultimo senso glorioso della parola "salvezza" che significa l'esito immortale dell'intero processo salvifico, ora più vicina di quando credevamo, e così per fede siamo entrati nella nostra unione con il Salvatore.

(Vedi come si diletta ad associarsi ai suoi discepoli nell'unità benedetta della ricordata conversione; "quando abbiamo creduto".) La notte, con il suo torbido silenzio, il suo "buio cupo", la notte della prova, della tentazione, della l'assenza del nostro Cristo, è lontana, ma il giorno si è avvicinato; è stata una lunga notte, ma questo significa un'alba vicina; l'eterna alba dell'agognata Parusia, con la sua gloria, letizia e svelamento.

Spostiamoci, dunque, come se fossero una veste da notte immonda e ingombrante, le opere delle tenebre, le abitudini e gli atti della notte morale, cose che possiamo buttare via nel Nome di Cristo; ma indossiamo le armi della luce, armandoci, per la difesa, e per la santa aggressione nel regno del male, della fede, dell'amore e della celeste speranza. Così ai Tessalonicesi cinque anni prima, 1 Tessalonicesi 5:8 e agli Efesini quattro anni dopo, Efesini 6:11scrisse della santa Panoplia, abbozzandola rapidamente in un punto, dando nell'altro il ricco quadro finito; suggerendo ai santi sempre il pensiero di una guerra prima e principalmente difensiva, poi aggressiva con la spada sguainata, e indicando come loro vera armatura non la loro ragione, le loro emozioni, o la loro volontà, prese in se stesse, ma i fatti eterni della loro rivelata la salvezza in Cristo, colta e usata dalla fede.

Come di giorno, perché è già l'alba, nel Signore, camminiamo decorosamente, decorosamente, come siamo i santi soldati del nostro Condottiero; lascia che la nostra vita non solo sia giusta di fatto; mostri a tutti gli uomini il "decoro" aperto della verità, della purezza, della pace e dell'amore; non in gozzoviglie e ubriachezze; non nelle camere, i peccati del giaciglio segreto e le dissolutezze, per non parlare dei mali che spesso si attaccano al cristiano altrimenti rispettabile, nella lotta e nell'invidia, cose che sono contaminazioni, agli occhi del Santo, reali come la lussuria si.

No; indossate, vestitevi e armatevi del Signore Gesù Cristo, Lui stesso somma vivente e vero significato di tutto ciò che può armare l'anima; e per la carne non badate alla lussuria. Come se, per eufemismo, dicesse: "Prendete ogni possibile previdenza contro la vita di sé (σάρξ), con la sua lussuriosa, ostinata gravitazione lontano da Dio. E lasciate che questa previdenza sia, armatevi, come se non foste mai armati prima, con Cristo».

Com'è solennemente esplicito, com'è schietto sulle tentazioni della vita del cristiano romano! Agli uomini che erano capaci degli appelli e delle rivelazioni dei primi otto capitoli, tuttavia, bisognava dire di non bere all'ebbrezza, di non avvicinarsi alla casa della cattiva fama, di non litigare, di non rancore. Ma ogni missionario moderno nel paganesimo ci dirà che la stessa severa semplicità è necessaria ora tra i fedeli appena convertiti. E non è necessaria tra coloro che hanno professato la fede paolina molto più a lungo, nelle congregazioni della nostra antica cristianità?

Rimane per il nostro tempo, più che mai vero, un fatto della vita religiosa: questa necessità di insistere sui religiosi, come i religiosi, che sono chiamati a una santità pratica e dettagliata; e che non devono mai ignorare la possibilità anche delle peggiori cadute. Così misteriosamente la "carne" sottile, nel destinatario credente del Vangelo, può offuscare o distorcere il sacro significato della cosa ricevuta.

Così fatalmente facile è "corrompere il meglio nel peggio", usando la stessa profondità e ricchezza della verità spirituale come se potesse essere un sostituto per la pratica paziente, invece del suo potente stimolo.

Ma glorioso è il metodo qui illustrato per resistere trionfante a quella tendenza. Che cos'è? Non è ritirarsi dal principio spirituale su un freddo programma naturalistico di attività e probità. È penetrare attraverso il principio spirituale al Signore Crocifisso e Vivente che è il suo cuore e la sua potenza; è seppellirsi in Lui e armare di Lui la volontà. È cercarLo come Venuta, ma anche, e ancor più urgentemente, servirsene come Presente.

Nella grande epopea romana, sull'orlo del conflitto decisivo, la dea-madre depose l'invulnerabile panoplia ai piedi del suo Enea; e lo stupefatto Campione subito, prima ponderando ogni parte dell'armamento mandato dal cielo, poi "lo indossò", e fu preparato. Per così dire ai nostri piedi è deposto il Signore Gesù Cristo, in tutto ciò che è, in tutto ciò che ha fatto, nella sua indissolubile unione con noi in tutto ciò, poiché siamo uno con lui mediante lo Spirito Santo.

Sta a noi vedere in Lui la nostra potenza e vittoria, e "rivestirlo", in un atto personale che, sebbene tutto per grazia, è tuttavia in sé stesso nostro. E come si fa? È per "l'impegno di custodire le nostre anime a Lui", 1 Pietro 4:19 non vagamente, ma definitivamente e con uno scopo, in vista di ogni tentazione.

È "vivendo la nostra vita nella carne mediante la fede nel Figlio di Dio"; Galati 2:20 vale a dire, in effetti, servendosi perennemente del Salvatore crocifisso e vivente, Uno con noi mediante lo Spirito Santo, servendosi di Lui come nostro liberatore vivente, nostra pace e potenza, in mezzo a tutto ciò che le schiere oscure del male può fare contro di noi.

Oh, segreto meraviglioso e assolutamente adeguato; "Cristo, che è il Segreto di Dio!" Colossesi 2:2 Oh, divina semplicità della sua profondità.

"Il paradiso è un piano facile, ingenuo e svincolato"!

Non che la sua "facilità" significhi la nostra indolenza. No; se vogliamo davvero "armarci del Signore Gesù Cristo", dobbiamo svegliarci e sforzarci di "conoscere in chi abbiamo fiducia". 2 Timoteo 1:12 Dobbiamo esplorare la Sua Parola su se stesso. Dobbiamo meditarlo, soprattutto, nella preghiera che dialoga con Lui sulle sue promesse, finché esse vivano per noi nella sua luce.

Dobbiamo vegliare e pregare, per essere pronti a usare il nostro armamento. Il cristiano che esce nella vita "a cuor leggero", pensando superficialmente alla sua debolezza e ai suoi nemici, è fin troppo probabile che pensi anche al suo Signore superficialmente e trovi anche questa armatura celeste che "non può andare con essa , perché non l'ha provato». 1 Samuele 17:39 Ma tutto ciò lascia assolutamente intatta la divina semplicità della materia.

Lascia meravigliosamente vero che la vittoria e la liberazione decisive, soddisfacenti, complete e morali giungono all'uomo cristiano non calpestando le proprie risoluzioni, ma affidandosi al suo Salvatore e Custode, che lo ha vinto, che ora Potrebbe conquistare "il suo forte nemico" per lui.

"Il piano libero del cielo" di "vittoria e trionfo, contro il diavolo, il mondo e la carne", non è un sogno ad occhi aperti di romanticismo. Vive, opera nell'ora più aperta del mondo comune del peccato e del dolore. Abbiamo visto questo "rivestirsi del Signore Gesù Cristo" vincere vittoriosamente laddove si dovevano affrontare le forme di tentazione più feroci o più subdole. L'abbiamo visto preservare, con bella persistenza, una vita sofferente delle terribili sollecitazioni del dolore, e dell'impotenza ancora meno sopportabile - ogni arto fissato letteralmente immobile dalla paralisi sul letto mal arredato; abbiamo visto l'uomo allegro, riposante, sempre pronto alla parola saggia e al pensiero compassionevole, e affermare che il suo Signore, presente alla sua anima, era infinitamente sufficiente per "tenerlo.

Abbiamo visto il lavoratore sopraffatto per Dio, mentre ogni passo della giornata era intasato da "doveri affollati", tali doveri come la maggior parte logorano e svuotano lo spirito, ma mantenuti in un'equa allegria e per così dire ozio interiore da questo stesso sempre segreto adeguato, «vestito il Signore Gesù Cristo». solitudine, pericolo, non tanto per una dura resistenza quanto per l'uso, lì per lì, fiducioso e arrendevole, del Signore Crocifisso e Vivente.

Oseremo aggiungere con l'umiliante confessione che è stata fatta solo una prova troppo parziale di questo glorioso Segreto aperto, che sappiamo per esperimento che i più deboli dei servi del nostro Re, "rivestendosi di Lui", trovano vittoria e liberazione, dove prima c'era la sconfitta?

Scrittori e lettori, rivolgiamoci di nuovo in pratica a questo meraviglioso segreto. Come se non lo avessimo mai fatto prima, “rivestiamoci del Signore Gesù Cristo”. Vana è la nostra interpretazione della santa Parola, che non solo "rimane, ma vive in eterno", 1 Pietro 1:23 se in qualche modo non torna a casa. Poiché quella Parola è stata scritta apposta per tornare a casa; toccare e commuovere la coscienza e la volontà, nelle realtà della nostra vita più intima, ed anche più esteriore.

Mai per un momento restiamo semplicemente studenti e spettatori interessati, al di fuori del campo della tentazione. Mai per un momento quindi possiamo fare a meno del grande Segreto della vittoria e della sicurezza.

Pieno di fronte alla realtà del peccato-del peccato romano, ai tempi di Nerone; ma dimentichiamo ora Roma e Nerone; erano solo incidenti oscuri di un'essenza più oscura: St. Paolo qui scrive, attraverso tutte, queste parole, questo incantesimo, questo Nome; "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo". Guarda prima con fermezza, sembra dire, al tuo disperato bisogno, alla luce di Dio; ma poi, subito, guarda qui, guarda qui. Qui c'è più che Antitesi a tutto questo.

Ecco ciò per cui puoi essere "più che vincitore". Prendi le tue iniquità nel peggiore dei casi; questo può sottometterli. Prendi ciò che ti circonda nel peggiore dei casi; questa macchina, emancipati dal loro potere. È "il Signore Gesù Cristo" e il "rivestirsi" di Lui.

Ricordiamo, come fosse una cosa nuova, che Lui, il Cristo dei Profeti, degli Evangelisti e degli Apostoli, è un Fatto. Certo come l'esistenza ora della sua Chiesa universale, come l'osservanza dello storico Sacramento della sua morte, come l'impossibilità dell'immaginazione galileiana o farisaica di aver composto, invece di fotografare, il ritratto del Figlio Incarnato, l'Agnello Immacolato; certo com'è la lieta verifica in diecimila vite benedette oggi di tutti, di tutti, che il Cristo della Scrittura si impegna ad essere per l'anima che lo prenderà presso di sé. propri termini, così sicuro, al di là di tutti i più antichi e nuovi dubbi, di ogni gnosi e di ogni agnosia, giace il Fatto presente di nostro Signore Gesù Cristo.

Allora ricordiamoci che è un fatto che l'uomo, nella misericordia di Dio, può "rivestirlo". Non è lontano. Si presenta al nostro tocco, al nostro possesso. Ci dice: "Vieni a me". Si svela come partecipe letterale della nostra natura; come nostro Sacrificio; la nostra giustizia, "mediante la fede nel suo sangue"; come Capo e Fonte di Vita, in un'unione indescrivibile, di una marea calma e profonda di vita spirituale ed eterna, pronta a circolare attraverso il nostro essere.

Si invita a "prendere dimora presso di noi"; Giovanni 14:23 sì, di più: "Io entrerò da lui; dimorerò nel suo cuore per fede". Apocalisse 3:20 , Efesini 3:17 In quel nostro cuore ingovernabile, in quel nostro interminabilmente ingannatore: cuore, Geremia 17:9 Si impegna a risiedere, ad essere permanente Occupante, il Padrone sempre a casa.

Egli è così disposto a prendere, nei confronti della nostra volontà, un luogo di potere più vicino a tutte le circostanze e in mezzo a tutti i possibili traditori interiori; per tenere d'occhio le loro trame, il suo piede, non il nostro, sul loro collo. Sì, ci invita così ad abbracciarlo in un contatto pieno; per "metterlo addosso".

Non possiamo dire di lui ciò che il grande Poeta dice del dovere, e glorificare il versetto con un'applicazione ancora più nobile?-

"Tu che sei vittoria e legge Quando vuoti terrori intimidiscono, dalle vane tentazioni ti liberi, e calmi la stanca lotta della fragile umanità!"

Sì, possiamo "indossarlo" come la nostra "panoplia di luce". Possiamo rivestirlo come "il Signore", arrendendoci alla sua assoluta e benigna sovranità e volontà, profondo segreto di riposo. Possiamo indossarlo come "Gesù", abbracciando la verità che Lui, il nostro Fratello Umano, eppure Divino, "salva il suo popolo dai suoi peccati". Matteo 1:21 Possiamo metterlo, come "Cristo", nostro Capo, unto senza misura dallo Spirito eterno, e ora inviando quello stesso Spirito nelle sue membra felici, così che siamo davvero una cosa sola con lui, e riceviamo in tutto il nostro essere le risorse della Sua vita.

Tali sono le armature e le armi. San Girolamo, commentando un passo affine, Efesini 6:13 dice che "risulta più chiaramente che per 'le armi di Dio' si deve intendere il Signore nostro Salvatore".

Possiamo ricordare che questo testo è memorabile in connessione con la Conversione di sant'Agostino. Nelle sue "Confessioni" (8,12) ricorda come, nel giardino di Milano, in un momento di grande conflitto morale, fosse stranamente attratto da una voce, forse il grido di bambini che giocano: "Prendete e leggete, prendete e leggere." Prese e riaprì una copia delle Epistole ("codicem Apostoli"), che aveva recentemente depositato.

"Leggo in silenzio il primo luogo sul quale i miei occhi si sono posati: 'Non in gozzoviglie e ubriachezze, non in cameratismo e lussuria, non in contese e invidie; ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non prendete cura della carne in le sue concupiscenze.' Non mi importava, né avevo bisogno di leggere oltre. Alla fine della frase, come se un raggio di certezza si fosse riversato nel mio cuore, le nuvole dell'esitazione si sono subito dileguate". La sua volontà era nella volontà di Dio.

Ahimè, cade un'ombra su quella bella scena. Nella credenza del tempo di Agostino, decidere pienamente per Cristo significava, o quasi significava, accettare l'idea ascetica di rinunciare alla casa cristiana. Ma il Signore ha letto bene il cuore del suo servo attraverso l'errore e lo ha riempito con la sua pace. A noi, in una luce religiosa circostante molto più chiara, in molte cose, di quella che brillava anche su Ambrogio e Agostino; a noi che ben riconosciamo che nei sentieri del dovere più familiare e della tentazione più comune si trova la linea lungo la quale la potenza benedetta del Salvatore può adombrare meglio il Suo discepolo; la voce dello Spirito dirà di questo stesso testo: "Prendi e leggi, prendi e leggi.

Ci “indosseremo”, per non depilarci mai. Allora incammineremo il vecchio sentiero in una forza nuova, e da rinnovare per sempre, armati contro il male, armati per la volontà di Dio, con Gesù Cristo nostro Signore.

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