Capitolo 27

DOVERE CRISTIANO; NELLA VITA CIVILE E ALTRIMENTI:

Romani 13:1

Emerge ora un argomento NUOVO, distinto, ma in stretto e naturale collegamento. Abbiamo ascoltato precetti per la vita personale e sociale, tutti radicati in quella caratteristica più intima della morale cristiana, l'abbandono, la sottomissione a Dio. Il tema è stato la lealtà verso gli altri nel Signore. Negli ambienti della casa, dell'amicizia, della Chiesa; nel campo aperto del rapporto con gli uomini in generale, la cui inimicizia personale o persecuzione religiosa era così probabile che attraversasse il sentiero - in tutte queste regioni il cristiano doveva agire secondo il principio della sottomissione soprannaturale, come via sicura per la vittoria spirituale.

Lo stesso principio è ora portato avanti nei suoi rapporti con lo Stato. Come cristiano, non cessa di essere cittadino, di essere suddito. La sua liberazione dalla condanna a morte della Legge di Dio non fa che vincolarlo, nel nome del suo Signore, ad una leale fedeltà allo statuto umano; limitato solo dal caso in cui tale statuto possa realmente contraddire la suprema legge divina. Il discepolo di Cristo, in quanto tale, mentre tutto il suo essere ha ricevuto un'emancipazione altrove sconosciuta, deve essere il suddito fedele dell'Imperatore, l'ordinato abitante del suo quartiere in Città, il puntuale contribuente, il pronto donatore di un non servile eppure un'autentica deferenza verso i rappresentanti ei ministri dell'autorità umana.

Questo deve farlo per ragioni sia generali che speciali. In generale, è suo dovere cristiano sottomettersi piuttosto che altrimenti, laddove la coscienza verso Dio non è in questione. Non debolmente, ma docilmente, deve cedere piuttosto che resistere in tutti i suoi rapporti puramente personali, con gli uomini; e quindi con gli ufficiali dell'ordine, come uomini. Ma in particolare deve anche comprendere che l'ordine civile non è solo cosa desiderabile, ma divino; è la volontà di Dio per la Razza sociale fatta a Sua Immagine.

In astratto, è assolutamente così; l'ordine civile è una legge data da Dio, proprio come i precetti più espliciti del Decalogo, nella cui Seconda Tavola è sempre così chiaramente implicito. E in concreto, l'ordine civile in cui il cristiano si trova a trovarsi è da considerare come un'istanza reale di questo grande principio. È abbastanza sicuro che sia imperfetto, perché è necessariamente mediato dalle menti e dalle volontà umane.

Molto probabilmente può essere gravemente distorto in un sistema seriamente oppressivo della vita individuale. Infatti il ​​supremo magistrato de' Cristiani Romani nell'anno 58 era un giovane dissoluto, inebriato dalla scoperta che avrebbe potuto fare quasi tutto ciò che gli piaceva delle vite intorno a lui; non per difetto, tuttavia, nell'idea e nello scopo del diritto romano, ma per colpa del mondo degenerato del giorno.

Eppure l'autorità civile, anche con un Nerone a capo, era ancora in linea di principio una cosa divina. E l'atteggiamento del cristiano nei suoi confronti doveva essere sempre quello di una volontà, di uno scopo, di obbedire; un'assenza della resistenza il cui motivo risiede nell'affermazione di sé. Sicuramente il suo atteggiamento non doveva essere quello del rivoluzionario, che considera lo Stato come una sorta di potenza belligerante, contro la quale, da solo o in compagnia, apertamente o all'oscuro, è libero di condurre una campagna.

Sotto pressione anche pesante, il cristiano deve ancora ricordare che il governo civile è, nel suo principio, "di Dio". Deve riverire l'Istituzione nella sua idea. Deve considerare i suoi funzionari effettivi, quali che siano le loro colpe personali, come tanto dignitosi dall'Istituzione che il loro lavoro di governo deve essere considerato sempre al primo posto alla luce dell'Istituzione. L'amministrazione dell'ordine civile più imperfetta, anche più errata, è ancora da rispettare prima di essere criticata. Nel suo principio, è un "terrore non per le opere buone, ma per quelle cattive".

Non c'è bisogno di un'osservazione elaborata per mostrare che un tale precetto, per quanto poco possa accordarsi con molte grida politiche popolari del nostro tempo, significa nel cristiano altro che un servilismo politico, o un'indifferenza da parte sua verso il torto politico nel corso effettivo della governo. La religione che invita ogni uomo a stare faccia a faccia con Dio in Cristo. andare dritto all'Eterno, non conoscendo intermediario se non suo Figlio, e nessuna autorità ultima se non la sua Scrittura, per le certezze dell'anima, per la pace della coscienza, per il dominio sul male in se stesso e nel mondo, e per più della liberazione dalla paura della morte, non è amico dei tiranni dell'umanità.

Abbiamo visto come, intronizzando Cristo nel cuore, inculchi una nobile sottomissione interiore. Ma da un altro punto di vista sviluppa ugualmente e potentemente il tipo più nobile di individualismo. Essa eleva l'uomo ad una sublime indipendenza dal suo ambiente, unendolo direttamente a Dio in Cristo, facendone l'Amico di Dio. Non stupisce quindi che, nel corso della storia, il cristianesimo, cioè il cristianesimo degli Apostoli, delle Scritture, sia stato l'alleato invincibile della coscienza personale e della libertà politica, libertà che è l'opposto della licenza e della libertà. tirannia.

È il cristianesimo che ha insegnato agli uomini a morire con calma, di fronte a un impero persecutore, oa qualsiasi altra gigantesca forza umana, piuttosto che sbagliare su suo comando. È il cristianesimo che ha sollevato innumerevoli anime a stare in piedi in solitaria protesta per la verità e contro la menzogna, quando ogni forma di autorità governativa è stata contro di loro. Fu l'allievo di san Paolo che, solo davanti alla grande Dieta, senza pronunciare alcuna denuncia, mite e rispettoso in tutto il suo portamento, fu tuttavia trovato inamovibile dal Papa e dall'Imperatore: «Non posso altrimenti: aiutami dunque Dio.

Possiamo essere certi che se il mondo chiuderà la Bibbia, solo prima, sotto qualunque tipo di governo, tornerà al dispotismo essenziale, sia esso il dispotismo del padrone o quello dell'uomo. "appassire". L'Autocrate non troverà spiriti puramente indipendenti sul suo cammino. E ciò che allora si chiamerà, per quanto ad alta voce, "Libertà, Fratellanza, Uguaglianza", si troverà finalmente, dove la Bibbia è sconosciuta, ad essere l'implacabile despota della personalità, e della casa.

È il cristianesimo che ha liberato pacificamente e saldamente lo schiavo e ha riportato la donna al suo vero posto accanto all'uomo. Ma poi, il cristianesimo ha fatto tutto questo a modo suo. Non ha mai lusingato gli oppressi, né li ha infiammati. Ha detto una verità imparziale a loro e ai loro oppressori. Uno dei fenomeni meno promettenti della vita politica attuale è l'adulazione (non si può chiamare con altro nome) troppo spesso offerta alle classi lavoratrici dai loro dirigenti, o da coloro che chiedono i loro suffragi.

Un'adulazione grossolana come quella mai accettata da monarchi compiacenti è quasi tutto ciò che si sente ora parlare di se stessi dalla nuova sezione padronale dello Stato. Questo non è il cristianesimo, ma la sua parodia. Il Vangelo dice la verità senza compromessi ai ricchi, ma anche ai poveri. Anche in presenza della schiavitù pagana imponeva allo schiavo, oltre che al suo padrone, la legge del dovere. Esso. ordinò allo schiavo di considerare i suoi obblighi piuttosto che i suoi diritti; mentre lo stesso diceva, precisamente, e più a lungo, e più urgentemente, al suo signore.

Così evitò subito la rivoluzione e gettò il seme vivente di riforme immense, salutari e in continua evoluzione. La dottrina dell'uguaglianza spirituale e della connessione spirituale, assicurata in Cristo, è venuta al mondo come garanzia per l'intero sistema sociale e politico della più vera libertà politica ultima. Perché ugualmente castigava e sviluppava l'individuo, in relazione alla vita che lo circondava.

Naturalmente da questo passaggio possono sorgere serie questioni di casistica pratica. La resistenza a un crudele dispotismo non è mai ammissibile al cristiano? In un'epoca di rivoluzione, quando il potere lotta con il potere, quale potere deve considerare il cristiano come "ordinato da Dio"? Può essere sufficiente rispondere alla prima domanda che, quasi evidentemente, i principi assoluti di un passo come questo danno per scontato un certo equilibrio e modificazione da principi concorrenti.

Letto senza tale riserva, san Paolo non lascia qui alcuna alternativa, in nessun caso, alla sottomissione. Ma certamente non intendeva dire che il cristiano debba sottomettersi a un ordine imperiale per sacrificare agli dei romani. Sembrerebbe che la lettera del precetto non dichiari inconcepibile che un cristiano, in circostanze che lasciano la sua azione disinteressata, veritiera, oggetto non di impazienza, ma di convinzione, possa essere giustificato in una positiva resistenza; la resistenza offerta all'oppressione dagli ugonotti delle Cévennes e dagli alpini valdesi prima di loro.

Ma la storia aggiunge la sua testimonianza agli avvertimenti di san Paolo, e del suo Maestro, che quasi inevitabilmente si ammala al massimo dei riguardi con i santi che "prendono la spada", e che le vittorie più pure per la libertà sono ottenute da coloro che " sopportare il dolore, la sofferenza ingiustamente", mentre testimoniano il bene e Cristo davanti ai loro oppressori. I pastori protestanti del sud della Francia ottennero una vittoria più nobile di quella ottenuta da Jean Cavalier sul campo di battaglia quando, a rischio della propria vita, si incontrarono nei boschi per redigere un solenne documento di fedeltà a Luigi XV; informandolo che la loro ingiunzione alle loro greggi era sempre e sarebbe sempre stata: "Temi Dio, onora il re".

Intanto Godet, in alcune mirabili note su questo passo, osserva che esso lascia il cristiano non solo non obbligato ad aiutare un governo oppressivo con una cooperazione attiva, ma ampiamente libero di testimoniare ad alta voce contro il suo torto; e che la sua "condotta sottomessa ma ferma è essa stessa un omaggio all'inviolabilità dell'autorità. L'esperienza dimostra che è in questo modo che tutte le tirannie sono state spezzate moralmente e che ogni vero progresso nella storia dell'umanità è stato compiuto".

Ciò che il servo di Dio dovrebbe fare con la sua fedeltà a una crisi rivoluzionaria è una grave questione per chiunque possa preoccupare infelicemente. Thomas Scott, in una nota utile sul nostro passaggio, osserva che forse nulla comporta maggiori difficoltà, in moltissimi casi, che accertare a chi spetta giustamente l'autorità La sottomissione in tutte le cose lecite alle autorità esistenti è il nostro dovere in ogni momento e in tutti i casi; sebbene nelle convulsioni civili ci possa essere spesso una difficoltà nel determinare quali siano "le autorità esistenti.

"In tali casi "il cristiano", dice Godet, "si sottometterà al nuovo potere non appena la resistenza del vecchio sarà cessata. Allo stato attuale delle cose riconoscerà la manifestazione della volontà di Dio e non prenderà parte a nessun complotto reazionario".

Per quanto riguarda il problema delle forme o dei tipi di governo, appare chiaro che l'Apostolo non pone alcun vincolo di coscienza sul cristiano. Sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo una monarchia giusta sembra essere l'ideale. Ma la nostra Lettera dice che "non c'è potenza se non di Dio". Ai tempi di San Paolo l'Impero Romano era in teoria, più che mai, una repubblica, e di fatto una monarchia personale. In questa questione, come in tante altre del quadro esteriore della vita umana, il Vangelo è liberale nelle sue applicazioni, mentre è, nel senso più nobile, conservatore in linea di principio.

Chiudiamo i nostri commenti preparatori, e procediamo al testo, con il raccoglimento generale che in questo breve paragrafo vediamo e tocchiamo come fosse la pietra angolare dell'ordine civile. Un lato dell'angolo è il dovere indefettibile, per il cittadino cristiano, del rispetto per la legge, del ricordo dell'aspetto religioso del governo anche secolare. L'altro lato è il ricordo al governante, all'autorità, che Dio getta il suo scudo sulle pretese dello Stato solo perché l'autorità è stata istituita non per fini egoistici, ma sociali, così che si smentisce se non è usata per il bene dell'uomo.

Ogni anima, ogni persona, che ha «presentato il suo corpo in sacrificio vivente», sia sottomessa alle autorità dominanti; manifestamente, dal contesto, le autorità dello Stato. Poiché non c'è autorità se non da Dio; ma le autorità esistenti sono state nominate da Dio. Cioè, l'imperium del Re Eterno è assolutamente riservato; un'autorità non sancita da Lui è nulla; l'uomo non è una fonte indipendente di potere e diritto.

Ma poi è piaciuto a Dio di ordinare così la vita umana e la storia, che la sua volontà in questa materia si esprima, di volta in volta, nella e attraverso la costituzione attuale dello Stato. Così che l'avversario dell'autorità resiste all'ordinanza di Dio, non solo a quella dell'uomo; ma i resistenti porteranno su se stessi la sentenza del giudizio; non solo il delitto umano di tradimento, ma l'accusa, nel tribunale di Dio, di ribellione contro la Sua volontà.

Questa si fonda sull'idea di legge e ordine, che significa per sua natura il contenimento del male pubblico e la promozione, o almeno la tutela, del bene pubblico. L'«autorità», anche nelle sue peggiori deformazioni, mantiene ancora così lontano quel fine che nessun potere civile umano, di fatto, punisce il bene come bene e premia il male come male; e così per la vita comune la peggiore autorità stabilita è infinitamente migliore della vera anarchia.

Perché i governanti, come classe, non sono un terrore per la buona azione, ma per il male; tale è sempre il fatto in linea di principio, e tale, prendendo la vita umana nel suo insieme, è la tendenza, anche nel peggiore dei casi, in pratica, dove l'autorità in qualsiasi grado merita il suo nome. Ora vuoi non aver paura dell'autorità? fate il bene e ne avrete lode; la "lode", almeno, di essere indisturbato e protetto.

Per l'agente di Dio è per te, per ciò che è buono; attraverso la sua funzione Dio, nella provvidenza, realizza i suoi scopi di ordine. Ma se fai il male, abbi paura; perché non per niente, non senza mandato, né senza scopo, indossa la sua spada, simbolo del potere ultimo della vita e della morte; poiché l'agente di Dio è lui, un vendicatore, per l'ira, per il praticante del male. Pertanto, poiché Dio è nella materia, è necessario sottomettersi, non solo per l'ira, l'ira del sovrano nel caso supposto, ma anche per la coscienza; perché tu sai, come cristiano, che Dio parla attraverso lo stato e attraverso il suo ministro, e che l'anarchia è quindi slealtà nei suoi confronti.

Perché anche su questo conto si pagano le tasse; la stessa commissione che dà allo Stato il diritto di reprimere e punire gli dà il diritto di chiedere sussidi ai suoi membri, per il suo funzionamento; poiché i ministri di Dio sono loro, la Sua λειτουργοί, una parola usata così frequentemente nelle connessioni sacerdotali che potrebbe benissimo suggerirle qui; come se il governante civile fosse, nella sua provincia, uno strumento quasi religioso dell'ordine divino; i ministri di Dio, proprio a questo fine perseveranti nel loro compito; lavorando nelle fatiche dell'amministrazione, per l'esecuzione, consapevolmente o meno, del piano divino della pace sociale.

Questo è un punto di vista nobile, sia per i governati che per i governanti, da cui considerare i prosaici problemi e le necessità della finanza pubblica. Così inteso, il tributo si paga non con un freddo e coercitivo assenso a un'esazione meccanica, ma come un atto nella linea del piano di Dio. E la tassa è pensata e richiesta, non solo come espediente per aggiustare un bilancio, ma come cosa che la legge di Dio può sanzionare, nell'interesse del piano sociale di Dio.

Scarica dunque a tutti gli uomini, a tutti gli uomini in autorità, in primo luogo, ma non solo, i loro doveri; l'imposta, a cui si deve l'imposta, su persona e proprietà; il pedaggio, a chi il pedaggio, sulle merci; la paura, a chi la paura, come al punitore ordinato di torto; l'onore, a chi l'onore, quanto al legittimo pretendente in generale di leale deferenza.

Tali erano i princìpi politici della nuova Fede, della misteriosa Società, che tanto presto avrebbe lasciato perplesso lo statista romano, oltre che fornire comode vittime al despota romano. Un Nerone avrebbe presto bruciato i cristiani nei suoi giardini in sostituzione delle lampade, con l'accusa di essere colpevoli di orge segrete e orribili. Più tardi, un Traiano, grave e ansioso, avrebbe ordinato la loro esecuzione come membri di una comunità segreta pericolosa per l'ordine imperiale.

Ma ecco una missiva privata inviata a queste persone dal loro capo, ricordando loro i loro principi e prescrivendo la loro linea d'azione. Li mette in contatto spirituale immediato, ogni uomo e donna di essi, con l'Eterno Sovrano, e così li ispira con la più forte indipendenza possibile, rispetto al «timore dell'uomo». Dice loro di sapere con certezza che l'Onnipotente li considera, ciascuno e tutti, come accettati nel Suo Amato, e li riempie della Sua grande Presenza, e promette loro un cielo in arrivo dal quale nessun potere terreno o terrore può per un momento chiuderli fuori.

Ma nello stesso messaggio, e nello stesso Nome, ordina loro di pagare le tasse allo Stato pagano, e di farlo, non con la sprezzante indifferenza del fanatico, che pensa che la vita umana nel suo ordine temporale sia Dio- abbandonati, ma nello spirito di cordiale lealtà e di incondizionata deferenza, come ad un'autorità che rappresenta nella sua sfera nientemeno che il loro Signore e Padre.

È stato suggerito che il primo serio antagonismo dello stato nei confronti di questi misteriosi cristiani sia stato causato dall'inevitabile interferenza delle pretese di Cristo con l'ordine severo e rigido della Famiglia Romana. Un potere che poteva affermare il diritto, il dovere di un figlio di rifiutare il culto religioso del padre era considerato un potere che significava la distruzione di ogni ordine sociale in quanto tale; un vero nichilismo.

Questo è stato un enorme malinteso da incontrare. Come doveva essere incontrato? Non per resistenze tumultuose, nemmeno per proteste e invettive appassionate. La risposta doveva essere quella dell'amore, pratico e leale, a Dio e all'uomo, nella vita e, quando si presentava l'occasione, nella morte. Sulla linea di quel sentiero giaceva almeno la possibilità del martirio, con i suoi leoni e le sue pile funerarie; ma il suo fine fu la pacifica rivendicazione della gloria di Dio e del Nome di Gesù, e il raggiungimento della migliore sicurezza per le libertà dell'uomo.

Congenialmente poi l'Apostolo chiude questi precetti di ordine civile con il comandamento universale dell'amore. Non devo niente a nessuno; evitare assolutamente la slealtà sociale del debito; pagare integralmente, con vigile cura, ogni creditore; tranne l'amarsi l'un l'altro. L'amore deve essere un debito perpetuo e inesauribile, non come ripudiato o trascurato, ma come sempre dovuto e sempre pagante; un debito, non come un conto dimenticato è dovuto al venditore, ma come interesse sul capitale è continuamente dovuto al prestatore.

E questo, non solo per la bella bellezza dell'amore, ma per il dovere legale di esso: per l'amante del suo prossimo (τόν έτερον, "l'altro uomo", sia colui che può, con il quale l'uomo deve do) ha adempiuto alla legge, la legge della Seconda Tavola, il codice del dovere dell'uomo verso l'uomo, che qui si tratta.

Lo "ha adempiuto"; come essere entrato subito, in linea di principio e volontà, in tutta la sua esigenza; così che tutto ciò di cui ha bisogno ora non è un atteggiamento migliore, ma informazioni sviluppate. Perché il "Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, non desiderare", e qualunque altro comandamento ci sia, tutto è riassunto in questa espressione.

"Amerai il prossimo tuo come te stesso". Levitico 19:18 amore non fa male al prossimo; perciò l'amore è il compimento della Legge.

È un mero precetto negativo allora? La vita dell'amore deve essere solo un'astinenza dal fare del male, che può evitare i furti, ma può anche evitare i sacrifici personali? È una "innocuità" fredda e inoperante, che lascia tutte le cose come sono? Vediamo la risposta in parte in quelle parole, "come te stesso". L'uomo «ama se stesso» (nel senso di natura, non di peccato), con un amore che evita istintivamente ciò che è ripugnante e nocivo, ma lo fa perché positivamente ama e desidera il contrario.

L'uomo che "ama il suo prossimo come se stesso" sarà rispettoso dei sentimenti del suo prossimo come dei suoi, rispetto all'astinenza dall'offesa e dal fastidio. Ma sarà di più; sarà attivamente desideroso del bene del suo prossimo. "Non facendogli del male", considererà tanto "male" essere indifferente ai suoi veri interessi positivi quanto riterrebbe innaturale essere apatico nei confronti dei propri. Non facendogli del male, come uno che lo ama come se stesso, si preoccuperà e cercherà di farlo funzionare bene.

"L'amore", dice Leibnitz, riferendosi alla grande controversia sull'Amore Puro agitata da Fenelon e Bossuet, "è ciò che trova la sua felicità nel bene dell'altro". Un tale agente non può mai terminare la sua azione con una mera cauta astinenza dal male.

Il vero commento divino a questo breve paragrafo è il brano quasi contemporaneo dello stesso autore, 1 Corinzi 13:1 . Lì, come abbiamo visto sopra, la descrizione della cosa sacra, l'amore, come quella dello stato celeste nell'Apocalisse, è data in gran parte in negativo. Eppure chi non riesce a sentire il meraviglioso positivo dell'effetto? Questa non è semplicemente un'innocenza negativa che è più grande dei misteri, della conoscenza e dell'uso di una lingua angelica; più grande della povertà autoinflitta e della sopportazione della fiamma del martire; "Grazia principale in basso, e tutto sommato in alto.

I suoi benedetti negativi non sono che una forma di azione disinteressata. Dimentica se stesso, e ricorda gli altri, e si astiene dal ferirli minimamente inutilmente, non perché voglia semplicemente "vivere e lasciar vivere", ma perché li ama, trovando la sua felicità nel loro bene.

È stato detto che "l'amore è santità, abbreviato". Interpretato e applicato con cura, il detto è vero. L'uomo santo nella vita umana è l'uomo che, con le Scritture aperte davanti a sé come suo informatore e sua guida, mentre il Signore Cristo dimora nel suo cuore mediante la fede come sua Ragione e sua Potenza, dimentica se stesso in un'opera per gli altri che è mantenuti insieme mansueti, saggi e persistenti fino alla fine, dall'amore che, qualunque cosa faccia, sa simpatizzare e servire.

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