Capitolo 26

DOVERE CRISTIANO: DETTAGLI DI CONDOTTA PERSONALE

Romani 12:8

NS. PAOLO ci ha posto dinanzi la vita della resa, della "consegna" della facoltà a Dio, in un grande aspetto preliminare. Il giusto ideale (inteso sempre per una realizzazione vigile e speranzosa) è stato tenuto in alto. È una vita il cui motivo sono le "compassioni" del Signore; la cui legge di libertà è la Sua volontà; il cui scopo più intimo è, senza invidia o interferenza verso i nostri compagni di servizio, di "finire il lavoro che ci ha dato da fare". Ora in questo nobile schema vanno versati i particolari della condotta personale che, in ogni ed ogni linea e campo, devono formare le caratteristiche del cristiano.

Mentre ascoltiamo di nuovo, ricorderemo ancora che le parole sono rivolte non a pochi, ma a tutti coloro che sono in Cristo. Gli esseri qui indicati non sono i nomi scelti di un Calendario della Chiesa, né sono gli abitanti senza passione di un'utopia. Sono tutti coloro che, nell'antica Roma, ora in Inghilterra, "hanno pace con Dio per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo", "hanno lo Spirito di Dio che dimora in loro", e vivono questa vita meravigliosa ma praticissima nella retta linea della volontà del loro Padre.

Come se non potesse ammucchiare troppo fittamente le parole d'oro, san Paolo qui detta con una anche insolita rapidità e concisione di espressione. Lascia molto in disparte la sintassi; ci dà nome e aggettivo e li lascia parlare da soli. Ci azzarderemo a rendere il più fedelmente possibile. L'inglese sembrerà inevitabilmente più rozzo e grezzo del greco, ma l'impressione data sarà nel complesso più fedele all'originale di quanto non lo sarebbe una resa più completa.

Il tuo amore, inalterato. Abominevole del malato, sposato con il buono. Per la tua gentilezza fraterna, piena di reciproco affetto familiare. Per il vostro onore, il vostro codice di precedenza, rimandandovi l'un l'altro. Per la tua serietà, non per pigrizia. Per lo Spirito, per quanto riguarda il tuo possesso e uso dell'Abitante divino, splendente. Per il Signore, vincolo di servizio. Per la vostra speranza, cioè come per la speranza del Ritorno del Signore, gioia.

Per la tua afflizione, duratura. Per la tua preghiera, perseverante. Per i bisogni dei santi, per la povertà dei fratelli cristiani, comunicare; "condivisione", una cosa ancora più nobile del semplice "dare" che può ignorare la sacra comunione di chi fornisce e riceve. Ospitalità-proseguire come con una coltivazione studiosa. Benedici coloro che ti perseguitano; benedici e non maledire. Questo era un precetto solennemente appropriato, per la comunità sulla quale, otto anni dopo, la prima grande persecuzione doveva irrompere in "sangue, fuoco e vapore di fumo.

In Cristo trovi possibile l'impossibile; muoia il risentimento della natura, ai suoi piedi, nel soffio del suo amore.

Rallegrarsi con la gioia e piangere con il pianto; doveri sacri della vita consegnata, troppo facilmente dimenticati. Ahimè, esiste un tale fenomeno, non del tutto raro, come una vita la cui resa di sé, in alcuni aspetti principali, non può essere messa in dubbio, ma che manca completamente di simpatia. Si permette che una certa esaltazione spirituale indurisca, o almeno sembri indurirsi, il cuore consacrato; e l'uomo che forse testimonia per Dio con l'ardore di un profeta non è ancora colui al quale il lutto andrebbe per le lacrime e la preghiera nel suo lutto, o il bambino per un sorriso perfettamente umano nel suo gioco.

Ma questo non è come vorrebbe il Signore. Se davvero il cristiano ha «ceduto il suo corpo», è perché i suoi occhi, le sue labbra e le sue mani possano essere pronti a dare amorevoli pegni di comunione nel dolore, e (ciò che è meno ovvio) anche nella gioia, all'uomo cuori intorno a lui.

Sentire la stessa cosa l'uno verso l'altro; animato da una felice identità di simpatia e fratellanza. Non altezzoso nel sentimento, ma pieno di umili simpatie; accessibile, in una comunione sincera, ai poveri, agli inferiori sociali, ai deboli e ai vinti, e di nuovo agli interessi più piccoli e familiari di tutti. Era l'esempio del Signore; il bambino, il genitore malinconico, la vedova con il suo obolo, la povera donna di strada caduta, poteva "portare via" le Sue benedette simpatie con un tocco, mentre Lui rispondeva con una maestà ininterrotta di grazioso potere, ma con una gentilezza per la cui condiscendenza sembra una parola troppo fredda e distante.

Non diventare saggio secondo la tua opinione; sii sempre pronto ad imparare; temere l'atteggiamento della mente, troppo possibile anche per l'uomo di sinceri propositi spirituali, che presume che tu non abbia nulla da imparare e tutto da insegnare; che rende facile criticare e screditare; e che può rivelarsi una cosa del tutto ripugnante per l'osservatore esterno, che cerca di valutare il Vangelo dal suo aderente e fautore.

Non restituire a nessuno male per male; al sicuro dallo spirito di rappresaglia, nel tuo arrenderti a Colui «che quando fu oltraggiato, non oltraggiò più; quando soffrì, non minacciò». Previdenza per il bene agli occhi di tutti gli uomini; non lasciare che le abitudini, le chiacchiere, le spese, scivolino nell'incoerenza; osservando con occhi aperti e premurosi ciò che gli altri potrebbero giustamente pensare non cristiano in te. Qui non c'è consiglio di codardia, nessuna raccomandazione di schiavitù a un'opinione pubblica che può essere del tutto sbagliata.

È un precetto di leale gelosia per l'onore del Maestro celeste. Il suo servo deve essere nobilmente indifferente al pensiero e alla parola del mondo, dove è sicuro che Dio e il mondo si antagonizzano. Ma deve essere sensibilmente attento all'osservazione del mondo dove il mondo, più o meno a conoscenza del precetto o principio cristiano, e più o meno cosciente della sua verità e del suo diritto, veglia, maliziosamente o forse malinconicamente, per vedere se governa la pratica del cristiano.

In vista di ciò l'uomo non si accontenterà mai neppure della soddisfazione della propria coscienza; si metterà non solo a fare il bene, ma ad essere visto farlo. Non solo sarà fedele a un trust monetario, per esempio; avrà cura che siano aperte le prove della sua fedeltà. Non solo avrà buone intenzioni con gli altri; farà in modo che i suoi modi e il suo portamento, i suoi rapporti e i suoi rapporti respirino inequivocabilmente l'aria cristiana.

Se possibile, per quanto riguarda la tua parte (il "tuo" è il più enfatico possibile nella posizione e nel significato), vivere in pace con tutti gli uomini; sì, anche nella Roma pagana e ostile. Qui parla un principio peculiarmente cristiano. Gli uomini che avevano "dato sui loro corpi un sacrificio vivente" potevano pensare, immaginabilmente, che il loro dovere fosse quello di corteggiare l'inimicizia del mondo, di inclinarsi per così dire contro le sue lance, come se l'unica chiamata suprema fosse quella di scontrarsi, di cadere, e da glorificare.

Ma questo sarebbe fanatismo; e il Vangelo non è mai fanatico, perché è la legge dell'amore. Il cristiano arreso non è, in quanto tale, un aspirante anche alla fama di martire, ma è il servo di Dio e dell'uomo. Se il martirio incrocia il suo cammino, è adempiuto come dovere; ma non lo corteggia come eclat. E ciò che è vero per il martirio è naturalmente vero per ogni forma più bassa e più mite del conflitto della Chiesa, e del cristiano, nel mondo.

Nulla evidenzia più nobilmente l'origine divina del Vangelo di questo precetto essenziale; "per quanto ti riguarda, vivi pacificamente con tutti gli uomini". Tale saggia e gentile tolleranza e vicinanza non sarebbero mai state legate alla fede in poteri e speranze soprannaturali, se quei poteri e queste speranze fossero stati il ​​mero risultato dell'esaltazione umana, dell'entusiasmo naturale. Il soprannaturale del Vangelo non conduce che alla rettitudine e alla premura, insomma all'amore, tra l'uomo e l'uomo.

E perché? Perché è davvero divino; è il messaggio e il dono del Figlio vivente di Dio, in tutta la verità e maestà della sua legittimità. Troppo presto nella storia della Chiesa "la corona del martirio" divenne oggetto di entusiastica ambizione. Ma non per l'insegnamento del Crocifisso, né per i suoi apostoli sofferenti.

Non vendicatevi, amati; no, lascia il posto all'ira; lascia che l'avversario arrabbiato, il temibile persecutore, faccia a modo suo, per quanto riguarda la tua resistenza o rappresaglia. "Amati, amiamoci"; 1 Giovanni 4:7 con quell'amore forte e conquistatore che vince con la sofferenza. E non temere che la giustizia eterna vada per difetto; c'è Uno che se ne occuperà; puoi lasciarlo con Lui.

Deuteronomio 32:35 scritto infatti: Deuteronomio 32:35 "A me appartiene la vendetta; io darò la retribuzione, dice il Signore". «Ma se» (e cita ancora le Scritture più antiche, trovando nei Proverbi 25:21 25,21-22 la stessa autorità oracolare del Pentateuco), «ma se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere, perché così facendo accumulerai carboni ardenti sul suo capo"; prendendo la via migliore verso l'unica "vendetta" che un santo possa desiderare, cioè la convinzione del proprio "nemico" del suo torto, il sorgere di una vergogna ardente nella sua anima, e lo scioglimento del suo spirito nel fuoco dell'amore. Non farti vincere dal male, ma vinci, nel bene, il male.

"Nel bene"; come se ne fosse circondato, muovendosi invulnerabile, nel suo cerchio magico, attraverso «la contraddizione dei peccatori», «la provocazione di tutti gli uomini». Il pensiero è proprio quello di Salmi 31:18 : "Quanto è grande la tua bontà, che hai riservato per quelli che ti temono, che hai operato per quelli che confidano in te davanti ai figli degli uomini! Ti nasconderai li nel segreto della tua presenza dall'orgoglio dell'uomo; li custodirai in segreto in un padiglione dalla contesa delle lingue.

«Il «bene» di questa frase di san Paolo non è cosa vaga e astratta; è «dono di Dio»; Romani 6:23 è la vita eterna trovata e posseduta in unione con Cristo, nostra Giustizia, nostra Santificazione , la nostra Redenzione. In pratica, è "non Essa ma Lui". farlo non tanto per un conflitto interno tra il suo "io migliore" e il suo peggio, quanto per la potenza viva di Cristo ricevuta in tutto il suo essere, ma "dimorando in lui".

È così ora e per sempre. Il segreto aperto della pace e dell'amore divini è quello che era; quanto necessario, tanto versatile, quanto vittorioso. E il suo cammino di vittoria è diritto e sicuro come un tempo. E il precetto di percorrere quel sentiero, ogni giorno e ogni ora, se l'occasione lo richiede, è ancora divinamente vincolante come lo è sempre stato per il cristiano, se davvero ha abbracciato "le misericordie di Dio" e sta aspettando che il suo Signore sia sempre "trasfigurato, dal rinnovamento della sua mente."

Passando in rassegna questo ricco campo dei fiori, e dell'oro, della santità, questo paragrafo ormai completato di precetti epigrammatici, emergono alcuni principi guida e pervasivi. Vediamo anzitutto che la santità del Vangelo non è un "indifferentismo" taciuto e claustrale. È una cosa destinata al campo aperto della vita umana; da vivere "davanti ai figli degli uomini". In esso c'è un forte elemento positivo.

Il santo deve "abominare il male"; non solo per deprecarlo e deplorarlo. Deve essere energeticamente "sul serio". Egli deve "brillare" con lo Spirito e "rallegrarsi" nella speranza della gloria. Si prenda cura pratica e previdente di vivere non solo rettamente, ma manifestamente rettamente, in modi che "tutti gli uomini" possano riconoscere. Ancora una volta, la sua vita deve essere essenzialmente sociale. È contemplato come colui che incontra altre vite in ogni momento, e non deve mai dimenticare o trascurare il suo rapporto con esse.

In particolare nella Società cristiana, conservi l'«affetto familiare» del Vangelo; sottomettersi ai fratelli cristiani con generosa umiltà; condividere i suoi mezzi con i poveri tra loro; per accogliere i loro estranei nella sua casa. Deve ritenere un sacro dovere entrare nelle gioie e nei dolori che lo circondano. Deve tenere aperte le sue simpatie per le persone disprezzate e per le piccole cose.

Poi di nuovo, e soprattutto dopo tutto, deve essere pronto a soffrire e ad affrontare la sofferenza con uno spirito molto più grande di quello della sola rassegnazione. benedica il suo persecutore; deve servire il suo nemico nei modi più pratici e attivi; lo deve conquistare per Cristo, in forza di una comunione divina.

Così, intanto, la vita, così positiva, così attiva nei suoi effetti, deve essere essenzialmente per tutto il tempo una vita passiva, portante, duratura. La sua forza è quella di scaturire non dalle energie della natura, che possono o non possono essere vigorose nell'uomo, ma da una resa interiore alla pretesa e al governo del suo Signore. Si è «presentato a Dio»; Romani 6:13 ha "presentato il suo corpo, sacrificio vivente".

Romani 12:1 Egli ha riconosciuto, con penitente meraviglia e gioia, che egli non è che le membra di un Corpo, e che il suo Capo è il Signore. Il suo pensiero non è ora per i suoi diritti personali, la sua esaltazione individuale, ma per la gloria del suo Capo, per il compimento del pensiero del suo Capo, e per la salute e la ricchezza del Corpo, come il grande veicolo nel mondo di la benevola volontà del Capo.

È tra le caratteristiche principali e più profonde dell'etica cristiana, questa radice passiva al di sotto di una ricca crescita e messe di attività. In tutto il Nuovo Testamento lo troviamo espresso o suggerito. La prima Beatitudine pronunciata dal Signore Matteo 5:3 5,3 è data "al povero, al mendicante (πτωχοί) in spirito". L'ultimo Giovanni 20:29 è per il credente, che si fida senza vedere.

Il radioso ritratto del santo Amore 1 Corinzi 13:1 produce il suo effetto, pieno di indescrivibile vita oltre che di bellezza, per la combinazione di quasi solo tocchi negativi; la "totale astinenza" dell'anima amorosa dall'impazienza, dall'invidia, dall'ostentazione, dall'egoismo, dal rimuginare sull'ingiustizia, anche dal più debole piacere del male, dalla tendenza a pensare male degli altri.

Ovunque il Vangelo ordina al cristiano di schierarsi contro se stesso. Deve essere pronto a rinunciare anche ai suoi diritti più sicuri, se solo ne viene ferito; mentre d'altra parte è vigile a rispettare anche i diritti meno ovvi degli altri, sì, a considerare le loro debolezze, ei loro pregiudizi, fino al limite più giusto. Egli è "non resistere al male"; nel senso di non combattere mai per sé come sé.

Egli è piuttosto "soffrire di essere defraudato" 1 Corinzi 6:7 piuttosto che recare discredito al suo Signore in una 1 Corinzi 6:7 comunque dovuta. Le ristrettezze e le umiliazioni della sua sorte terrena, se tali cose sono la volontà di Dio per lui, non devono essere materiali per il suo malcontento, o occasione per la sua invidia, o per la sua ambizione secolare.

Devono essere le sue opportunità di trionfo interiore; il tema di un "cantico del Signore", in cui egli deve cantare della forza perfezionata nella debolezza, di una potenza non sua che lo "adombra". 2 Corinzi 12:9

Tale è la passività dei santi, nel profondo della loro attività utile. I due sono in connessione vitale. La radice non è l'accidente, ma il proprio antecedente del prodotto. Perché la resa segreta e senza ostentazione della volontà, nel suo senso cristiano, non è semplice evacuazione, lasciando la casa spazzata ma vuota; è l'accoglienza del Signore della vita nel castello aperto della Città di Mansoul.

È il mettere nelle Sue mani tutto ciò che le pareti contengono. E posto nelle sue mani, il castello e la città mostreranno subito, e sempre più, che non solo l'ordine, ma la vita, ha preso possesso. La resa del musulmano è, nella sua teoria, una semplice sottomissione. La resa del Vangelo è anche accoglienza; e quindi la sua natura è di uscire nel "frutto dello Spirito".

Ancora una volta, non dimentichiamo che l'Apostolo pone qui il suo principale accento più sull'essere che sul fare. Nulla si dice delle grandi imprese spirituali; tutto ha a che fare con la condotta personale degli uomini che, se tali imprese si fanno, devono farle. Anche questo è caratteristico del Nuovo Testamento. Molto raramente gli Apostoli dicono qualcosa sul dovere dei loro convertiti, per esempio, di portare il messaggio di Cristo intorno a sé con aggressività evangelica.

Tale aggressione fu certamente tentata, e in innumerevoli modi, dai cristiani primordiali, da coloro che furono "dispersi all'estero" Atti degli Apostoli 8:4 dopo la morte di Stefano in poi. I Filippesi Filippesi 2:15 «brillavano come luci nel mondo, porgendo la parola della vita.

Gli Efesini Efesini Efesini 5:13 penetrarono nelle tenebre circostanti, essendo essi stessi "luce nel Signore". I Tessalonicesi 1 Tessalonicesi 1:8 fecero sentire la loro testimonianza "in Macedonia, e in Acaia, e in ogni luogo". Ns.

La presenza e le sofferenze di Paolo "hanno avuto il coraggio di dire la parola senza". Filippesi 1:14 S. Giovanni 3 Giovanni 1:7 allude ai missionari che, "per amore del Nome, se ne andarono, senza prendere nulla delle genti".

Eppure non è chiaro che, quando gli Apostoli pensavano alla vita e allo zelo dei loro convertiti, la loro prima cura, di gran lunga, era quella di essere completamente conformi alla volontà di Dio nelle questioni personali e sociali? Questa era la condizione indispensabile al loro essere, come comunità, ciò che dovevano essere se si volevano dimostrare veri testimoni e propagandisti del loro Signore.

Dio non voglia che si possa trarre da questo fenomeno una deduzione, per quanto debole, per contrastare o screditare lo zelo missionario che ora sorge ai nostri giorni come una marea fresca e pura nella Chiesa credente. Possa il nostro Maestro animare continuamente i suoi servi nella Chiesa in casa a cercare i perduti intorno a loro, a ricordare i decaduti con la voce della verità e dell'amore. Possa Egli centuplicare l'esercito disperso dei suoi "testimoni nelle estremità della terra", attraverso le dimore di quegli ottocento milioni che sono ancora pagani, per non parlare delle minoranze ma vaste moltitudini di miscredenti, maomettani e Ebreo.

Ma né nell'impresa missionaria, né in alcuna attività per Dio e per l'uomo, è da dimenticare questo profondo suggerimento delle Epistole. Quello che fa il cristiano è ancora più importante di quello che dice. Ciò che è è l'importantissimo antecedente di ciò che fa. Egli è "niente ancora come dovrebbe" essere se, tra sforzi e aggressioni anche innumerevoli, non ha "presentato il suo corpo in sacrificio vivente" per gli scopi del suo Signore, non per i suoi; se non ha imparato, nel suo Signore, un amore inalterato, un santo affetto familiare, una simpatia con dolori e gioie intorno a lui, un'umile stima di se stesso e l'arte benedetta di dar via all'ira e di vincere il male in " il bene» della presenza del Signore.

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