Capitolo 12

PACE, AMORE E GIOIA PER I GIUSTIFICATI

Romani 5:1

Abbiamo raggiunto una pausa nel pensiero dell'Apostolo con la chiusura dell'ultimo paragrafo. Possiamo immaginare con reverenza, ascoltando spiritualmente il suo dettato, che anche nel suo lavoro venga una pausa; che tace, e Tertius posa la penna, e passano un po' di tempo ad adorare il ricordo e la realizzazione. Il Signore ha consegnato; Il suo popolo giustificato; il Signore è risorto, vivo per sempre: qui c'era materia per amore, gioia e meraviglia.

Ma la Lettera deve procedere, e l'argomento ha ancora da venire i suoi più completi e meravigliosi sviluppi. Ha già esposto ora l'enorme bisogno di giustificare la misericordia, per ogni anima dell'uomo. Ha mostrato come la fede, sempre e solo, sia la via per appropriarsi di quella misericordia - la via della volontà di Dio, e manifestamente anche nella sua stessa natura la via della più profonda idoneità. Ci è stato permesso di vedere la fede nell'azione illustrativa, in Abramo, che per fede, assolutamente, senza il minimo vantaggio del privilegio tradizionale, ricevette la giustificazione, con le vaste benedizioni concomitanti che portava.

Infine abbiamo sentito san Paolo dettare a Tertius, per i Romani e per noi, quelle parole riassuntive Romani 4:25 in cui ora abbiamo l'attestato di Dio stesso dell'efficacia trionfante di quell'Opera espiatoria, che sostiene la Promessa affinché il La promessa può sostenerci a credere.

Ci avviciniamo ora al tema glorioso della Vita dei Giustificati. Questo deve essere visto non solo come uno stato la cui base è la riconciliazione della Legge, e la cui porta e le cui mura sono la Promessa dell'alleanza. È apparire come uno stato riscaldato dall'Amore eterno; irradiato dalla prospettiva della gloria. In essa l'uomo, unito a Cristo suo Capo, suo Sposo, suo tutto, si arrende con gioia al Dio che lo ha accolto.

Nella potenza viva dello Spirito celeste, che lo libera perennemente da se stesso, obbedisce, prega, opera e soffre, in una libertà che solo non è ancora quella del cielo, e nella quale è mantenuto sino alla fine da Colui che ha programmato la sua piena salvezza personale di eternità in eternità.

Talvolta è stata la tentazione dei cristiani di considerare la verità e l'esposizione della Giustificazione come se ci fosse una certa durezza e per così dire aridità in essa; come se fosse un argomento più per le scuole che per la vita. Se mai sono state fornite scuse per una tale opinione, devono provenire da altri ambienti rispetto all'Epistola ai Romani. Gli insegnanti cristiani, di molti periodi, possono aver discusso della Giustificazione freddamente come se stessero scrivendo un libro di legge.

O ancora possono averlo esaminato come se fosse una verità che termina in se stessa, l'Omega così come l'Alfa della salvezza; e poi è stato travisato, ovviamente. L'Apostolo infatti non ne discute a secco; egli pone davvero in profondità le fondamenta della Legge e dell'Espiazione, ma lo fa alla maniera di un uomo che non sta tracciando il piano di un rifugio, ma chiamando il suo lettore dalla tempesta in quello che non è solo un rifugio ma una casa. E ancora non ne discute isolatamente.

Trascorre le sue esposizioni più complete, più vaste e più amorevoli sulla sua connessione intensa e vitale con le verità concorrenti. Ora sta per condurci, attraverso un nobile vestibolo, nel santuario della vita degli accettati, la vita dell'unione, della resa, dello Spirito Santo.

Giustificati dunque in termini di fede, abbiamo pace verso il nostro Dio, possediamo nei suoi confronti la «quiete e la certezza» dell'accoglienza, per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, così consegnato e risuscitato per noi; per mezzo del quale abbiamo effettivamente trovato la nostra introduzione, la nostra libera ammissione, per la nostra fede, in questa grazia, questa accettazione immeritata per amore di un Altro, in cui ci troviamo, invece di cadere rovinati, condannati, al tribunale.

Ed esultiamo, non con il peccaminoso "vantaggio" del legalista, ma nella speranza (letteralmente, "nella speranza", come riposando sulla prospettiva promessa) della gloria del nostro Dio, la luce della visione celeste e la fruizione del nostro Giustificatore, e lo splendore di un eterno servizio a Lui in quella fruizione. Né solo così, ma esultiamo anche nelle nostre tribolazioni, con una forza d'animo migliore della serenità artificiale dello stoico, sapendo che la tribolazione si risolve, si sviluppa, paziente persistenza, come prova dopo prova della potenza di Dio nella nostra debolezza, e genera così l'abitudine alla fiducia; e poi la paziente perseveranza sviluppa la prova, fa emergere nell'esperienza, come un fatto provato, che per Cristo noi non siamo ciò che eravamo; e allora la prova sviluppa speranza, aspettativa solida e definita di grazia continua e gloria finale, e, in particolare, del Ritorno del Signore; e la speranza non svergogna, non delude; è una speranza sicura e salda, perché è la speranza di coloro che ora sanno di essere oggetti d'Amore eterno; perché l'amore del nostro Dio si è riversato nei nostri cuori; Il suo amore per noi è stato come diffuso attraverso la nostra coscienza, riversato in un'esperienza lieta come pioggia dalla nuvola, come alluvioni dalla sorgente che sorge, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato.

Qui per primo viene menzionato esplicitamente, nell'argomento dell'Apostolo (non Romani 1:4 come nell'argomento), lo Spirito benedetto, il Signore lo Spirito Santo. Finora l'occasione per la menzione si è appena presentata. Le considerazioni sono state principalmente sulla colpa personale del peccatore, e il fatto oggettivo dell'Espiazione, e l'esercizio della fede, della fiducia in Dio, come genuino atto personale dell'uomo.

Con uno scopo ben preciso, possiamo pensare con riverenza, la discussione sulla fede è stata finora tenuta lontana dal pensiero di qualsiasi cosa si celi dietro la fede, di qualsiasi "grazia" che dia fede. Infatti, che la fede sia o no dono di Dio, è certamente l'atto dell'uomo; nessuno dovrebbe affermarlo in modo più deciso di coloro che sostengono (come noi) che Efesini 2:8 insegni che dove c'è la fede salvifica, è lì perché Dio l'ha "data".

Ma come lo "da"? Non, certamente, impiantando una nuova facoltà, ma aprendo l'anima a Dio in Cristo in modo tale che il magnete divino attiri efficacemente l'uomo a un riposo volontario su un tale Dio. Ma l'uomo fa questo, come un atto, se stesso. Si fida di Dio tanto genuinamente, quanto personalmente, tanto con la propria facoltà di fiducia, quanto si fida di un uomo che vede essere abbastanza degno di fiducia e precisamente adatto a soddisfare un bisogno imperativo.

Così spesso è compito dell'evangelista e del maestro insistere sul dovere piuttosto che sulla grazia della fede; dire agli uomini di ringraziare Dio per la fede quando hanno creduto piuttosto che aspettare il senso di un afflato prima di credere. E non è questo che fa qui san Paolo? A questo punto della sua argomentazione, e non prima, ricorda al credente che il suo possesso della pace, della felicità, della speranza, è stato raggiunto e realizzato non, in definitiva, da se stesso, ma per opera dello Spirito Eterno.

L'intuizione della misericordia, della propiziazione fornita dall'amore divino, e quindi del santo segreto dell'amore divino stesso, gli è stata data dallo Spirito Santo, che ha preso delle cose di Cristo e gliele ha mostrate, e maneggiava segretamente il suo "cuore" affinché il fatto dell'amore di Dio fosse finalmente parte dell'esperienza. All'uomo è stato detto del suo grande bisogno, e del rifugio sicuro e aperto, ed ha varcato la sua porta pacifica nell'atto di confidare nel messaggio e nella volontà di Dio. Ora gli è chiesto di guardarsi intorno, di guardare indietro e di benedire la mano che, quando era fuori nel nudo campo della morte, gli apriva gli occhi per vedere e guidava la sua volontà a scegliere.

Che retrospettiva! Ripercorriamolo ancora dalle prime parole di questo paragrafo. In primo luogo, ecco il fatto certo della nostra accettazione, e la sua ragione, e il metodo. "Perciò"; non si dimentichi quella parola. La nostra giustificazione non è una questione arbitraria, la cui assenza di causa suggerisce un'illusione o una pace precaria. "Perciò"; poggia su un antecedente, nella catena logica dei fatti divini.

Abbiamo letto questo antecedente, Romani 4:25 ; "Gesù nostro Signore è stato abbandonato a causa delle nostre trasgressioni, ed è stato risuscitato a causa della nostra giustificazione". Abbiamo acconsentito a questo fatto; lo abbiamo accolto, solo e totalmente, in questa sua opera. Perciò siamo giustificati, δικαιωθεντες, posti per atto di Amore divino, operanti nella linea della Legge divina, tra coloro che il Giudice accetta, affinché li abbracci come Padre.

Allora, in questo possesso della "pace" della nostra accoglienza, così introdotta (προσαγωγη), attraverso la porta della promessa, con il passo della fede, troviamo all'interno del nostro Rifugio molto di più della semplice sicurezza. Alziamo lo sguardo dall'interno delle mura benedette, cosparse di sangue espiatorio, e vediamo sopra di esse la speranza della gloria, invisibile fuori. E ci rivolgiamo alla nostra vita presente dentro di loro (poiché tutta la nostra vita deve essere vissuta all'interno di quell'ampio santuario ora), e troviamo risorse fornite lì per un regalo così come una gioia futura.

Ci rivolgiamo alla disciplina del luogo; perché ha la sua disciplina; il rifugio è casa, ma è anche scuola; e scopriamo, quando cominciamo a provarlo, che la disciplina è piena di gioia. Fa emergere in una coscienza gioiosa il potere che ora abbiamo, in Colui che ci ha accolto, in Colui che è la nostra Accettazione, di soffrire e di servire con amore. La nostra vita è diventata una vita non solo di pace, ma di speranza che anima la pace e la fa scorrere «come un fiume.

Di ora in ora godiamo della speranza mai deludente di "grazia per grazia", ​​grazia nuova per il prossimo nuovo bisogno; e al di là di essa, e sopra di essa, le certezze della speranza di gloria. Per abbandonare la nostra metafora del santuario per quello del pellegrinaggio, ci troviamo su un sentiero, ripido e roccioso, ma sempre salendo nell'aria più pura, e così da mostrarci prospettive più nobili; e alla sommità-il sentiero sarà continuato, e trasfigurato, nell'oro via della Città; stesso percorso, ma entro la porta del paradiso.

In tutto questo ci ha guidato lo Spirito Santo. È stato al centro dell'intero processo interno. Ha fatto articolare alla nostra coscienza il tuono della Legge. Ci ha dato la fede manifestando Cristo. E, in Cristo, ha «versato nei nostri cuori l'amore di Dio».

Per ora l'Apostolo riprende quella parola, "l'Amore di Dio", e la tiene davanti ai nostri occhi, e noi vediamo nella sua pura gloria non una vaga astrazione, ma il volto e l'opera di Gesù Cristo. Tale è il contesto in cui ora entriamo. Sta ragionando; "Per Cristo, quando eravamo ancora deboli". Ci ha posto davanti la giustificazione nella sua maestosa legalità. Ma ora deve espandere il suo potente amore, di cui lo Spirito Santo ci ha resi coscienti nei nostri cuori.

Dobbiamo vedere nell'Espiazione non solo una garanzia di avere un titolo valido per una giusta accettazione. Dobbiamo vedere in esso l'amore del Padre e del Figlio, affinché non solo la nostra sicurezza, ma la nostra beatitudine, sia piena.

Per Cristo, siamo ancora deboli (gentile eufemismo per la nostra totale impotenza, la nostra colpevole incapacità di soddisfare la pretesa senza peccato della Legge di Dio), in tempo, nella pienezza dei tempi, quando le età del precetto e del fallimento avevano fatto il loro lavoro, e l'uomo aveva imparato qualcosa in proposito dalla lezione della disperazione per i morti empi. "Per gli empi", "riguardo a loro", "con riferimento a loro", cioè, in questo contesto di misericordia salvifica, "nel loro interesse, per la loro salvezza, come loro propiziazione.

""Gli empi", o, più letteralmente ancora, senza l'articolo, "gli empi"; una designazione generale e inclusiva per coloro per i quali Egli morì. Sopra Romani 4:5 abbiamo visto la parola usata con una certa limitazione, come di il peggiore tra i peccatori, ma qui, sicuramente, con un solenne paradosso, copre l'intero campo della caduta.

Gli empi qui non sono solo flagranti e disdicevoli; sono tutti coloro che non sono in armonia con Dio; il potenziale così come gli effettivi responsabili del peccato grave. Per loro "Cristo è morto"; non "vissuto", ricordiamolo, ma "morto". Non si trattava di esempi, né di persuasione, né di espressioni di compassione divina. Era una questione di legge e di colpa; e doveva essere soddisfatta solo dalla sentenza di morte e dal fatto di morte; tale morte come quella della quale poco prima questo Corrispondente aveva scritto ai convertiti della Galazia; Galati 3:13 "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, quando si è fatto maledizione per noi.

"Tutta l'enfasi indicibile della frase, e del pensiero, sta qui su quelle ultime parole, su ciascuna e tutte, "per gli empi: morì". difficilmente, e in rari casi, per un uomo giusto si muore; "a malapena", non dirà "mai", perché, per l'uomo buono, l'uomo che risponde in qualche misura all'ideale di grazia e non solo di legale Dio, forse qualcuno si azzarda davvero a morire.

Ma Dio raccomanda, come per contrasto glorioso, il suo amore, il "suo", come anzitutto l'amore umano attuale, "il suo stesso amore", verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, e come tali ripugnanti al Santo, Uno, Cristo per noi è morto.

Non dobbiamo leggere questo passaggio come se fosse un'affermazione statistica sui fatti dell'amore umano e sui suoi possibili sacrifici. L'argomento morale non sarà intaccato se saremo in grado, come saremo, di addurre casi in cui l'uomo non rigenerato ha dato anche la sua vita per salvare la vita di uno, o di molti, da cui non è attratto emotivamente o naturalmente. Tutto ciò che è necessario alla tenera supplica di san Paolo per l'amore di Dio è il fatto certo che i casi di morte anche a nome di chi moralmente merita un grande sacrificio sono relativamente pochi, pochissimi.

Il pensiero di merito è il pensiero dominante nel collegamento. Si sforza di far emergere la sovrana Amorevolezza, che arrivò fino alla lunghezza e alla profondità della morte, ricordandoci che, qualunque cosa l'abbia mossa, non fu mossa, nemmeno nel grado più basso immaginabile, da alcun merito, no, né da qualsiasi "congruenza", in noi. Eppure siamo stati cercati e salvati. Colui che ha progettato la salvezza e l'ha fornita, era l'eterno Legislatore e Giudice.

Colui che ci ha amati è Lui stesso l'eterno Giusto, per il quale tutto il nostro torto è indicibilmente repellente. Che cos'è dunque come Amore colui che, essendo anche Giusto, non rimane finché non ha dato Suo Figlio alla morte dell'Espiazione?

Quindi abbiamo davvero un mandato per "credere nell'amore di Dio". 1 Giovanni 4:16 Sì, per crederci. Guardiamo dentro di noi, ed è incredibile. Se abbiamo veramente visto noi stessi, abbiamo visto il terreno per una dolorosa convinzione che Colui che è l'eterno Diritto deve guardarci con avversione. Ma se abbiamo veramente visto Cristo, abbiamo visto il motivo per non sentire affatto, può essere, in questo momento, ma credere che Dio è Amore e ci ama.

Che cosa significa credergli? È prenderlo in parola; agire completamente non in base alla nostra coscienza interna, ma in base al Suo mandato. Guardiamo la Croce, o meglio, guardiamo il crocifisso. Signore Gesù nella sua risurrezione; leggiamo ai suoi piedi queste parole del suo Apostolo; e andiamo via per prendere Dio con la sua certezza che noi, non amabili, siamo amati.

"Figlia mia", disse una santa francese morente, mentre dava un ultimo abbraccio a sua figlia, "ti ho amato per quello che sei; il mio Padre celeste, dal quale vado, mi ha amato malgre moi ".

E come avanza ora il ragionamento divino? "Di gloria in gloria"; dall'accettazione da parte del Santo, che è l'Amore, alla conservazione presente e senza fine nel Suo Amato. Quindi molto di più, giustificato ora nel Suo sangue, per così dire "nella" sua conca di abluzione, o ancora "dentro" il suo cerchio di aspersione mentre segna i recinti del nostro inviolabile santuario, noi. sarà tenuto al sicuro per mezzo di Colui, che ora vive per amministrare le benedizioni della Sua morte, dall'ira, l'ira di Dio, nella sua presente imminenza sul capo.

dei non riconciliati, e nella sua caduta finale «in quel giorno». Se infatti, essendo nemici, senza amore iniziale a Colui che è Amore, anzi, quando siamo stati ostili alle sue pretese, e come tali soggetti all'ostilità della sua Legge, siamo stati riconciliati con il nostro Dio mediante la morte di suo Figlio ( Dio venendo con noi alla pace giudiziaria, e noi con Lui portammo alla pace sottomessa), molto di più, essendoci riconciliati, saremo custoditi al sicuro nella sua vita, nella vita del Risorto che ora vive per noi, e in noi, e noi in Lui. Né solo così, ma anche noi continueremo ad esultare nel nostro Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale ora abbiamo ricevuto questa riconciliazione.

Qui, anticipatamente, indica già i temi potenti dell'atto di Giustificazione, nella nostra vita di Unione con il Signore che è morto per noi, ed è rivissuto. Nel sesto capitolo questo sarà spiegato più completamente; ma non può riservarlo del tutto così a lungo. Come è passato dall'aspetto legge della nostra accettazione al suo aspetto amore, così ora con quest'ultimo ci dà subito l'aspetto vita, la nostra incorporazione vitale con il nostro Redentore, la nostra parte e la nostra sorte nella sua vita di risurrezione.

Da nessuna parte in tutta questa Epistola quell'argomento è esposto così completamente come nelle successive Epistole, Colossesi ed Efesini; l'Ispiratrice condusse il Suo servitore in tutta quella regione allora, nella sua prigione romana, ma non ora. Ma Egli lo aveva introdotto nella regione fin dall'inizio, e lo vediamo qui presente al suo pensiero, anche se non in primo piano nel suo discorso. "Mantenuto al sicuro nella sua vita"; non "per" la Sua vita, ma "nella" Sua vita.

Siamo uniti in modo vivo a Lui, il Vivente. Da un certo punto di vista siamo uomini accusati, al bar, meravigliosamente trasformati, per provvedimento del Giudice, in amici accolti e onorati della Legge e del Legislatore. Da un altro punto di vista siamo uomini morti, nella tomba, meravigliosamente vivificati, e messi in connessione spirituale con la potente vita del nostro Redentore vivificante. «Gli aspetti sono perfettamente distinti.

Appartengono a diversi ordini di pensiero. Eppure sono nella relazione più stretta e genuina. Il Sacrificio giustificante procura la possibilità della nostra rigenerazione nella Vita di Cristo. La nostra unione per fede con il Signore che è morto e vive ci porta in parte e in sorte attuali nei suoi meriti giustificativi. E la nostra parte e la nostra sorte in quei meriti, la nostra "accettazione nell'Amato", ci assicura nuovamente la permanenza dell'Amore potente che ci manterrà nella nostra parte e sorte "nella sua vita". Questa è la visione della questione che è qui dinanzi a noi.

Così l'Apostolo risponde al nostro bisogno da ogni parte. Ci mostra la santa Legge soddisfatta per noi. Ci mostra l'amore eterno liberato su di noi. Egli ci mostra la stessa Vita del Signore stretta intorno a noi, impartita a noi; "la nostra vita è nascosta in Dio con Cristo, che è la nostra Vita". Colossesi 3:3 Non dovremmo forse "esultare in Dio per mezzo di lui"?

E ora dobbiamo imparare qualcosa di quel grande Patto-Capo, in cui noi e Lui siamo uno.

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