Nella Settanta, le Lamentazioni sono precedute dalle parole: "E avvenne che dopo che Israele fu portato via prigioniero e Gerusalemme resa desolata, Geremia si sedette piangendo, si lamentò di questo lamento su Gerusalemme e disse...."

In questo breve Libro del Compianto lo spirito dell'uomo è rivelato in modo sorprendente. Non c'è esultanza per l'adempimento delle sue predizioni, e c'è una duplice lealtà manifestata dappertutto, prima a Dio nella confessione del peccato, e poi al suo popolo nell'espressione del loro dolore.

In questa prima poesia ci sono due movimenti ben definiti. Il primo (versetti Lam 1,1-11) descrive la desolazione della città, quanto ai suoi rapporti con le altre nazioni, e quanto alla sua condizione interna, dichiarando che la causa è che «ha gravemente peccato». Sotto la figura di una vedova seduta solitaria, il profeta descrive la città. "Lei che era grande" è "divenuta affluente", ed è senza amore e senza conforto.

Dentro, la sua desolazione è travolgente. Il Tempio è deserto e la sua bellezza è scomparsa. Con grande cura il profeta espone la causa della sua dizione. Aveva "peccato gravemente" e ha dimenticato la sua ultima fine; e il profeta conclude questa descrizione della desolazione identificandosi con il dolore e il peccato con le parole: "Vedi, o Signore, ed ecco, perché sono diventato vile".

Nel secondo movimento (vv. Lam 1,12-22) la città, personificata, piange la sua dizione, rivolgendosi al passante e descrivendo il suo dolore; poi confessa la giustizia della desolazione che l'ha colta, gridando a Geova compassione e liberazione.

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