Capitolo 23

LA CADUTA DI ISRAELE RESPINTA, PER LA BENEDIZIONE DEL MONDO E PER LA MISERICORDIA DI ISRAELE

Romani 11:11

L'Apostolo è stato condotto qualche passo indietro negli ultimi versetti precedenti. Il suo volto è stato rivolto ancora una volta verso la regione oscura del cielo profetico, per vedere come il peccato delle anime che rifiutano Cristo viene accolto e punito dal terribile "dono" del sonno, dell'apatia e della trasmutazione delle benedizioni in lacci. Ma ora, decisamente, guarda verso il sole. Punta i nostri occhi, con i suoi, alla luce mattutina della grazia e della promessa. Dobbiamo vedere cosa ha a che fare la caduta di Israele con la speranza del mondo e con la vita in Cristo, e poi quali benedizioni attendono Israele stesso, e di nuovo il mondo attraverso di lui.

Dico, dunque, (la frase riprende il punto di vista al quale ci hanno condotto le stesse parole di cui sopra ( Romani 11:1 ), sono inciampati per poter cadere? Il loro rifiuto nazionale di un Messia sgradito perché non mondano ha avuto luogo, nel permesso divino, con lo scopo divino positivo che dovrebbe portare a un rifiuto finale della nazione, al suo bando dal suo posto nella storia della redenzione? Via il pensiero! Ma la loro caduta parziale è l'occasione della salvezza di Dio per i Gentili, allo scopo di muovere loro, i Giudei, alla gelosia, per svegliarli alla vista di ciò che è Cristo e di quale potrebbe essere il loro privilegio in Lui, mediante la vista della Sua opera e gloria in vite un tempo pagane.

Osserva qui la benignità divina che si nasconde anche sotto i bordi della nube del giudizio. E osserva anche, così vicino al passo che ci ha messo davanti il ​​lato misterioso dell'azione divina sulle volontà umane, la semplicità diurna di questo lato di quell'azione; l'abilità amorosa con cui la benedizione del mondo è intesa dal Dio della grazia per agire, esattamente nella linea del sentimento umano, sulla volontà di Israele.

Ma se "i Gentili" avessero portato più nel cuore quell'ultima breve frase di San Paolo in questi lunghi secoli da quando gli Apostoli si addormentarono! È uno dei fenomeni più marcati, come è uno dei più tristi, nella storia della Chiesa che da secoli, quasi dai tempi dello stesso san Giovanni, si cerca invano sia qualche apprezzabile elemento giudaico nella cristianità, o per qualsiasi sforzo esteso da parte della cristianità per conquistare i cuori degli ebrei a Cristo mediante un'evangelizzazione saggia e amorevole.

Con solo eccezioni relativamente insignificanti, questo fu lo stato delle cose fino al XVIII secolo, quando i pietisti tedeschi cominciarono a richiamare l'attenzione dei cristiani credenti sui bisogni spirituali e sulle speranze profetiche di Israele, e a ricordare loro che gli ebrei non erano solo un faro di giudizio, o solo l'illustrazione più impressionante e terribile del compimento della profezia, ma portatori di previsioni di misericordia ancora inadempiute per se stessi e per il mondo.

Nel frattempo, per tutto il Medioevo, e anche attraverso le generazioni precedenti e successive, la cristianità ha fatto poco per Israele se non rappresaglia, biasimo e tirannide. Era così antico in Inghilterra; assistere agli incendi di York. È così ancora oggi in Russia, e dove la "Judenhetze" infiamma innumerevoli cuori nell'Europa centrale.

Senza dubbio c'è più di un lato dei fenomeni persistenti. C'è un lato del mistero; la sentenza permissiva dell'Eterno ha a che fare con la lunga afflizione, comunque causata, del popolo che un tempo lanciò il grido fatale: "Il suo sangue sia su di noi, e sui nostri figli". Matteo 27:25 E le azioni sbagliate degli ebrei, senza dubbio, hanno spesso creato un'occasione oscura per un "odio ebraico", su scala più ampia o più ristretta.

Ma tutto ciò lascia inalterato, dal punto di vista evangelico, il peccato della cristianità nella sua tremenda incapacità di cercare. nell'amore, il bene di Israele che sbaglia. Lascia più nera che mai la colpa di ogni feroce rappresaglia sugli ebrei da parte dei cosiddetti cristiani, di ogni diffamatoria credenza sul credo o sulla vita ebraica, di ogni ingiusta legge antiebraica mai approvata dal re o dal senato cristiano. Lascia una responsabilità immutata alla Chiesa di Cristo, non solo per il flagrante torto di aver troppo spesso animato e diretto il potere civile nelle sue oppressioni di Israele, e non solo per aver così terribilmente trascurato di cercare l'evangelizzazione di Israele con appelli diretti per il vero Messia, e con l'esibizione aperta della sua gloria, ma per il torto più profondo e più sottile, persistentemente inflitto di età in età,

Ecco, sicuramente, il senso stesso del pensiero dell'Apostolo nella frase che ci sta davanti: "Salvezza dei pagani, per ingelosire i giudei". Nella sua idea ispirata, la cristianità gentile, in Cristo, doveva essere così pura, così benefica, così felice, trovando manifestamente nel suo Signore messianico tali risorse sia per la pace della coscienza sia per una vita di nobile amore, amore rivolto soprattutto agli avversari e calunniatori, che Israele, guardando, con occhi per quanto accecati dal pregiudizio, dovrebbe presto vedere una gloria morale nel volto della Chiesa impossibile da nascondere, ed essere attratto come da una calamita morale alla speranza della Chiesa.

È colpa di Dio (può Egli perdonare la domanda formale, se manca di riverenza), o colpa dell'uomo, uomo che porta il nome cristiano, se i fatti sono andati così tristemente diversamente nel corso della storia? È la colpa, la colpa grave, di noi cristiani. Il ristretto pregiudizio, la legge iniqua, la rigida applicazione dell'esagerato principio ecclesiastico, tutte queste cose sono state la perversione dell'uomo dell'idea divina, da confessare e deplorare in un profondo ed interminabile pentimento.

Possa la misericordia di Dio risvegliare la cristianità gentile, in modo e grado ancora sconosciuti, a ricordare questo nostro indefettibile debito verso questo popolo dovunque presente con noi, dovunque distinto da noi; -il debito di una vita, personale ed ecclesiastica, così manifestamente pura e amorosa in nostro Signore il Cristo da "muoverli alla gelosia" che lo rivendicherà per loro. Allora accelereremo davvero il giorno della piena e definitiva benedizione, sia per se stessi che per il mondo.

A quel luminoso giorno a venire l'Apostolo ci indica ora, più direttamente che mai. Ma se la loro caduta parziale sarà la ricchezza del mondo, e la loro diminuzione, la loro riduzione (una riduzione in un aspetto a una razza di esuli dispersi, in un altro a mero residuo di "davvero israeliti") sarà la ricchezza dei Gentili, la occasione per la quale "l'insondabile ricchezza del Messia" Efesini 3:8è stato per così dire costretto nei ricettacoli dei Gentili, quanto più la loro pienezza, il riempimento del canale arido con il suo ampio flusso ideale, il cambiamento da un residuo credente, frammenti di un popolo frammentato, a una nazione credente, rianimata e riunita? Quali benedizioni per "il mondo", per "i Gentili", potrebbero non venire attraverso il veicolo di un tale Israele? Ma a voi parlo, i Gentili; a te, perché se raggiungo gli ebrei, nel modo in cui intendo, deve essere attraverso di te.

Nella misura in cui io, distintamente io, sono l'Apostolo delle genti, glorifico il mio ministero come tale; Mi rallegro, fariseo che ero una volta, di essere devoto come nessun altro apostolo è a un ministero per coloro che una volta pensavo come degli emarginati nella religione. Ma io parlo come vostro apostolo, e a voi, se per caso posso smuovere la gelosia della mia carne e del mio sangue, e salvare alcuni di loro, facendo loro per così dire ascoltare quali sono le benedizioni di voi Gentili: Cristiani, e come è scopo del Signore usare quelle benedizioni come una calamita per Israele errante.

La sua speranza è che, attraverso la congregazione romana, questo glorioso segreto aperto venga fuori, quando incontrano i loro vicini ebrei e parlano con loro. Così uno di qua, l'altro di là, «per le vie e per i vicoli della Città», sarebbe attratto ai piedi di Gesù, sotto la costrizione di quella «gelosia» che non significa altro che l'umana brama di comprendere qual è evidentemente la grande gioia del cuore di un altro; una “gelosia” su cui spesso può cadere la grazia, e usarla come veicolo di luce e vita divina.

Dice solo "alcuni di loro"; come fa nella sorella Epistola; 1 Corinzi 9:22 . Egli riconosce come suo compito attuale, indicato allo stesso modo dalle circostanze e dalla rivelazione, quello di non essere l'allegro raccoglitore di vaste moltitudini a Cristo, ma il paziente vincitore delle pecore disperse. Tuttavia osserviamo che nondimeno dedica tutta la sua anima a quella vittoria, e non trova scuse da un futuro glorioso per rallentare un solo sforzo nel presente difficile.

Perché se l'abbandono di loro, la loro caduta come Chiesa di Dio, fu la riconciliazione del mondo, la causa strumentale o causante dell'annuncio diretto ai popoli pagani dell'Espiazione della Croce, quale sarà la loro accoglienza, se non la vita da la morte? Vale a dire, il grande evento del ritorno di Israele a Dio in Cristo, e il Suo in Israele, sarà il segnale e il mezzo di una vasta ascesa di vita spirituale nella Chiesa universale e di un incontro senza precedenti di anime rigenerate dal mondo.

Quando Israele, come Chiesa, cadde, la caduta fece bene al mondo semplicemente cacciando, per così dire, i predicatori apostolici dalla Sinagoga, alla quale desideravano tanto aggrapparsi. Gli ebrei non fecero altro che aiutare l'opera. Eppure anche così furono un'occasione per il bene mondiale. Quando saranno "ricevuti di nuovo", come questa Scrittura afferma in modo così preciso che saranno ricevuti, il caso sarà grandiosamente diverso.

Come prima, saranno "occasioni". Un ritorno nazionale ed ecclesiastico di Israele a Cristo naturalmente darà occasione in tutto il mondo per un'attenzione molto più rapida al cristianesimo e per un appello alla fede del mondo nei fatti e nelle affermazioni del cristianesimo, audace e forte come quello della Pentecoste . Ma più di questo, Israele ora sarà non solo un'occasione ma un agente.

Gli ebrei, onnipresenti, cosmopoliti, eppure invincibilmente nazionali, tornando nella fedeltà viva al Figlio di Davide, il Figlio di Dio, saranno una forza positiva nell'evangelizzazione quale la Chiesa non ha ancora sentito. Qualunque siano i fatti reali che si dimostreranno in merito al loro ritorno alla Terra Promessa (e chi può osservare senza una profonda riflessione la terra senza nazione e la nazione senza terra?), nessuna previsione ci obbliga a pensare che gli ebrei saranno ritirati dal in tutto il mondo da un reinsediamento nazionale nella loro Terra.

Una nazione non è una Dispersione semplicemente perché ha singoli cittadini ampiamente dispersi; se ha un vero centro nazionale, è un popolo a casa, un popolo con una casa. Sia come messa centrale in Siria, sia come presenza ovunque nel mondo umano, Israele sarà così pronto, una volta restituito a Dio in Cristo, ad essere una potenza evangelizzatrice più che naturale.

Che questo sia ricordato in ogni impresa per il bene spirituale della grande Dispersione ora. Attraverso tali sforzi Dio si sta già avvicinando alla Sua ora di benedizione, attesa da tempo. Che questo fatto animi e dia una lieta pazienza ai Suoi operai, sulla cui opera egli certamente comincia ai nostri giorni a gettare il Suo sorriso di crescente benedizione.

Ora l'argomento prende una nuova direzione. La restaurazione così indicata, così predetta, non solo è sicura di essere infinitamente benefica. È anche da cercare e da aspettarsi come una cosa che giace per così dire nella linea dell'idoneità spirituale, fedele all'ordine del disegno di Dio. Nella sua volontà, quando si accinge a creare e sviluppare la sua Chiesa, Israele nasce dalla terra arida come l'Ulivo sacro, ricco della linfa della verità e della grazia, pieno di ramo e foglia.

Dalle tende di Abramo in poi, la vera luce e vita spirituale del mondo erano lì. Là, non altrove, c'erano la rivelazione, l'ordinanza data da Dio e «le alleanze e la gloria». Là, non altrove, doveva apparire il Cristo di Dio, che tutto attendeva, verso il quale convergevano tutte le linee della vita e della storia dell'uomo. Così, in un certo senso profondo, ogni vera salvezza deve essere non solo "di" Israele ( Giovanni 4:24 ) ma per mezzo di lui.

L'unione con Cristo era l'unione con Abramo. Diventare un cristiano, cioè uno degli uomini del Messia, significava diventare, misticamente, un israelita. Da questo punto di vista l'unione del Gentile con il Salvatore, sebbene non meno genuina e divina di quella degli Ebrei, era, per così dire, meno normale. E quindi niente potrebbe essere più spiritualmente normale del recupero dell'ebreo al suo antico rapporto con Dio, dal quale si era violentemente dislocato.

Questi pensieri l'Apostolo preme ora sui Romani, come nuovo motivo e guida per le loro speranze, preghiere e opere. (Deduciamo dalla lunghezza e dalla pienezza dell'argomento che già era difficile portare i Gentili a pensare correttamente al popolo eletto nella loro caduta e ribellione?) Ricorda loro l'inalienabile consacrazione di Israele a speciali scopi divini. Li indica all'antico Olivo, e con coraggio dice loro che sono, loro stessi, solo un innesto di un ceppo selvatico, inserito nel nobile albero.

Non che pensi all'ebreo come a un essere superiore. Ma la Chiesa d'Israele era l'originale della Chiesa. Quindi la restaurazione di Israele a Cristo, e alla Chiesa, è una ripresa della vita normale, non una prima e abnorme concessione di vita.

Ma se la primizia era santa, santa è anche la massa impastata. Abramo era per così dire la Primizia dell'umanità del Signore, nel campo della Sua Chiesa. Il "seme di Abramo" è come la massa impastata da quelle primizie; fatto di esso. La primizia era santa, nel senso di consacrazione al proposito redentore di Dio? Allora ciò che ne è fatto deve in qualche modo essere ancora una cosa consacrata, anche se messa da parte come "comune" per un po'.

E se la radice era santa, santi sono anche i rami; gli eredi diretti di Abramo sono ancora, idealmente, potenzialmente, consacrati a Colui che separò Abramo a Sé e lo spinse alla sua grande auto-separazione. Ma se alcuni rami (com'è tenero l'eufemismo degli "alcuni"!) si spezzassero, mentre tu, olivastro com'eri, ti innestavi in ​​mezzo a loro, nel loro luogo di vita e di crescita, e diventasti partecipe della radice e della grassezza dell'Ulivo, -non vantarti dei rami strappati.

Ma se ti vanti di loro, non porti la radice, ma la radice porta te. Allora dirai: I rami sono stati spezzati perché io fossi innestato. Bene: vero e falso: a causa della loro incredulità sono stati spezzati, mentre tu a causa della tua fede stai in piedi. Non erano esseri migliori di te, in se stessi. Ma nemmeno tu sei migliore di loro, in te stesso. Sia loro che voi siete, personalmente, meri soggetti di misericordia redentrice; tutto dovuto a Cristo; possedere tutto solo come accettare Cristo.

"Dov'è il tuo vanto, allora?" Non essere magnanimo, ma temi, temi te stesso, il tuo peccato, il tuo nemico. Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, bada che non risparmi nemmeno te. Vedi dunque la bontà e la severità di Dio. Su chi è caduto. venne la Sua severità; ma su di te, sua bontà, se rimani in quella bontà, con l'adesione e la risposta della fede; visto che anche tu sarai tagliato fuori altrimenti.

E anche loro, se non si attengono alla loro incredulità, saranno innestati; perché Dio è in grado di innestarli di nuovo. Perché se tu dall'olivo selvatico naturale fosti tagliato, e non in modo naturale fosti innestato nell'olivo dell'orto, quanto più quelli, i rami naturalmente, saranno innestati nel loro proprio olivo!

Qui ci sono più argomenti di uno che richiedono attenzione e studio riverenti.

1. L'immagine dell'Ulivo, con la sua radice, il suo fusto ei suoi rami. L'Ulivo, ricco e utile, longevo e sempreverde, sta, come "parabola della natura" della vita spirituale, accanto alla Vite, alla Palma e al Cedro, nel Giardino di Dio. A volte raffigura il singolo santo, vivo e fecondo in unione con il suo Signore. Salmi 52:8 A volte ci pone davanti l'organismo fecondo della Chiesa, come qui, dove l'Ulivo è la grande Chiesa Universale nella sua lunga vita prima e dopo la storica venuta di Cristo; la vita che in un certo senso è iniziata con la Chiamata di Abramo, e che è stata magnificamente sviluppata solo dall'Incarnazione e dalla Passione.

La sua Radice, in questo senso, è il grande Padre della Fede. Il suo Gambo è la Chiesa dell'Antico Testamento, che coincideva, in materia di privilegio esterno, con la nazione d'Israele, e alla quale apparteneva almeno l'immensa maggioranza dei veri credenti dell'antichità. I suoi Rami per una leggera e facile modifica dell'immagine sono i suoi singoli membri, ebrei o gentili che siano. Il Maestro dell'Albero, arrivando sulla scena nell'età evangelica, viene come a potare il suo Ulivo, e ad innestare.

Il "ramo" ebraico, se è ciò che sembra, se crede davvero e non solo per ipotesi, dimora nell'Albero. Altrimenti, dal punto di vista divino, è interrotto. Il Gentile, credendo, si innesta e diventa parte vera dell'organismo vivente; genuinamente e vitalmente uno con Abramo nella vita e nella benedizione come il suo fratello ebreo. Ma il fatto della "razza" ebraica in radice e radice governa ancora fino a rendere più "naturale" (non più possibile, o più benefica, ma più "naturale") il reinnesto di un ramo ebraico, pentito. del primo innesto di un ramo gentile. L'intero Albero è per sempre abramitico, israelita, in ceppo e in crescita; sebbene tutta l'umanità abbia ora posto nei suoi rami della foresta.

2. L'immaginario dell'innesto. Ecco un esempio di uso parziale, sebbene veritiero, di un processo naturale nella parabola della Scrittura. Nei nostri orti e frutteti è il ceppo selvatico che riceve, nell'innesto, il ramo "buono"; un fatto che si presta a molte feconde illustrazioni. Qui invece il ramo "selvatico" è inserito nel ceppo "buono". Ma l'oliveto offre all'Apostolo tutte le immagini di cui ha veramente bisogno.

Ha davanti a sé, a portata di mano, l'Albero della Chiesa; tutto ciò che vuole è un'illustrazione della comunicazione e dell'unione della vita per inserimento artificiale. E questo lo trova nell'arte dell'olivicoltore, che gli mostra come un frammento vegetale, a parte e estraneo, possa per disegno umano essere fatto crescere nella vita dell'albero, come se fosse originario della radice.

3. L'insegnamento del passaggio sul Luogo di Israele nel Piano divino di vita per il mondo. L'abbiamo già fatto notare, ma richiede un'attenzione e un ricordo reiterati. "In varie epoche e in diversi modi", e attraverso molte e diverse razze e civiltà, Dio ha trattato con l'uomo, e sta trattando con lui, nella formazione e nello sviluppo della sua vita e della sua natura. Ma in materia di salvezza spirituale dell'uomo, nel dono a lui, nella sua caduta, della vita eterna, Dio si è occupato dell'uomo, in pratica, attraverso una razza, Israele.

Non si dimentichi mai che i "vari tempi e modi diversi" dell'Epistola apostolica Ebrei 1:1 sono tutti riferiti ai "profeti"; sono i "tempi" ei "manieri" della rivelazione veterotestamentaria. E quando alla fine la stessa Voce Eterna parlò all'uomo "nel Figlio" (έν Υιω), quel Figlio venne da Israele, "si impadronì del seme di Abramo", Ebrei 2:16 e Lui stesso rese chiara testimonianza che "la salvezza viene dal ebrei”.

Giovanni 4:24 Nella molteplicità sconosciuta dell'opera di Dio per l'uomo, e nell'uomo, questa è unica e semplice: che in una sola linea razziale scorre il flusso della rivelazione autentica e soprannaturale; nella linea di questo Israele misteriosamente scelto. Da questo punto di vista, il grande Contadino ha piantato non una foresta ma un Albero; e gli innumerevoli alberi della foresta possono ottenere la linfa dell'Eden solo quando i loro rami sono innestati dalla Sua mano nel Suo unico Albero, dalla fede che li unisce a Colui che è la Radice sotto la radice, "la Radice di Davide", e di Abramo.

3. L'appello al “ramo” appena innestato a “rispettare la bontà di Dio”. Abbiamo ascoltato, come san Paolo ha dettato al suo scriba, tante parole profonde su un potere divino e sovrano sull'uomo; sull'assoluto debito dell'uomo verso Dio per il fatto che crede e vive. Eppure qui, con eguale decisione, abbiamo l'uomo ributtato nel pensiero della sua responsabilità, della contingenza in un certo senso della sua sicurezza sulla sua fedeltà.

"Se sei fedele alla misericordia, la misericordia sarà fedele a te; altrimenti anche tu sarai spezzato". Qui, come nel nostro studio dei passaggi precedenti, siamo disposti ad andare d'accordo con la Scrittura nell'apparente incostanza delle sue promesse assolute e delle sue contingenti cautele. Facciamo così, "andiamo a entrambi gli estremi"; allora saremo tanto vicini, probabilmente, come può esserlo attualmente il nostro pensiero finito, a tutta la verità che si muove, una sfera perfetta, in Dio.

Il cristiano è stanco e stanco della sua esperienza della propria contaminazione, instabilità e impotenza? Abbracci senza dubbio tutta quella promessa: "Le mie pecore non periranno mai". È scivolato in una vana fiducia, non in Cristo, ma nel privilegio, nell'esperienza, nell'apparente prosperità religiosa? Si è sorpreso nell'atto di dire, anche in un sussurro: "Dio, ti ringrazio di non essere come gli altri uomini"? Quindi ascolti a tempo la voce di avvertimento: "Non essere di mente alta, ma teme"; "Fai attenzione che non ti risparmi."' E non mettesse alcun cuscino di teoria tra l'acutezza di quell'avvertimento e la sua anima. Penitente, disperato, riposando solo in Cristo, "rimanga nella bontà di Dio".'

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