Romani 9:1-33

1 Io dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza me lo attesta per lo Spirito Santo:

2 io ho una grande tristezza e un continuo dolore nel cuore mio;

3 perché vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, per amor dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne,

4 che sono Israeliti, ai quali appartengono l'adozione e la gloria e i patti e la legislazione e il culto e le promesse;

5 dei quali sono i padri, e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen.

6 Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; perché non tutti i discendenti da Israele sono Israele;

7 né per il fatto che son progenie d'Abramo, son tutti figliuoli d'Abramo; anzi: In Isacco ti sarà nominata una progenie.

8 Cioè, non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio: ma i figliuoli della promessa son considerati come progenie.

9 Poiché questa è una parola di promessa: In questa stagione io verrò, e Sara avrà un figliuolo.

10 Non solo; ma anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand'ebbe concepito da uno stesso uomo, vale a dire Isacco nostro padre, due gemelli;

11 poiché, prima che fossero nati e che avessero fatto alcun che di bene o di male, affinché rimanesse fermo il proponimento dell'elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama,

12 le fu detto: Il maggiore servirà al minore;

13 secondo che è scritto: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù.

14 Che diremo dunque? V'è forse ingiustizia in Dio? Così non sia.

15 Poiché Egli dice a Mosè: Io avrò mercé di chi avrò mercé, e avrò compassione di chi avrò compassione.

16 Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia.

17 Poiché la Scrittura dice a Faraone: Appunto per questo io t'ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia pubblicato per tutta la terra.

18 Così dunque Egli fa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole.

19 Tu allora mi dirai: Perché si lagna Egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?

20 Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa formata dirà essa a colui che la formò: Perché mi facesti così?

21 Il vasaio non ha egli potestà sull'argilla, da trarre dalla stessa massa un vaso per uso nobile, e un altro per uso ignobile?

22 E che v'è mai da replicare se Dio, volendo mostrare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con molta longanimità de' vasi d'ira preparati per la perdizione,

23 e se, per far conoscere le ricchezze della sua gloria verso de' vasi di misericordia che avea già innanzi preparati per la gloria,

24 li ha anche chiamati (parlo di noi) non soltanto di fra i Giudei ma anche di fra i Gentili?

25 Così Egli dice anche in Osea: Io chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo, e "amata" uella che non era amata;

26 e avverrà che nel luogo ov'era loro stato detto: "Voi non siete mio popolo," quivi saran chiamati figliuoli dell'Iddio vivente.

27 E Isaia esclama riguardo a Israele: Quand'anche il numero dei figliuoli d'Israele fosse come la rena del mare, il rimanente solo sarà salvato;

28 perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra, in modo definitivo e reciso.

29 E come Isaia avea già detto prima: Se il Signor degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, saremmo divenuti come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra.

30 Che diremo dunque? Diremo che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, ma la giustizia che vien dalla fede;

31 mentre Israele, che cercava la legge della giustizia, non ha conseguito la legge della giustizia.

32 Perché? Perché l'ha cercata non per fede, ma per opere. Essi hanno urtato nella pietra d'intoppo,

33 siccome è scritto: Ecco, io pongo in Sion una pietra d'intoppo e una roccia d'inciampo; ma chi crede in lui non sarà svergognato.

Capitolo 20

IL DOLORE PROBLEMA: L'INCREDULAZIONE EBRAICA; SOVRANITÀ DIVINA

Romani 9:1

Possiamo ben pensare che di nuovo ci fu silenzio per un po' in quella camera corinzia, quando Terzio aveva debitamente scritto le ultime parole che abbiamo studiato. Un "silenzio in cielo" segue, nell'Apocalisse, Apocalisse 8:1 la visione delle bianche schiere dei redenti, finalmente riunite, nel loro eterno giubilo, davanti al trono dell'Agnello.

Un silenzio nell'anima è il seguito immediato più adatto a una tale rivelazione di grazia e di gloria come è passata davanti a noi qui. E l'uomo il cui compito era di pronunciarlo, e la cui esperienza personale era come l'anima informatrice di tutto l'argomento dell'Epistola fin dal primo, e non ultimo in quest'ultimo sacro peana della fede, non ha taciuto quando ha aveva fatto, zittito e stanco di questo "superiore peso" di grazia e di gloria?

Ma ha molto altro da dire ai romani, ea tempo debito la penna obbedisce di nuovo alla voce. Quale sarà il prossimo tema? Sarà un patetico e significativo contrasto con l'ultimo; un lamento, una discussione, un'istruzione, e poi una profezia, non su se stesso e sui suoi felici compagni di santi, ma sul povero Israele incredulo e accecato da se stesso.

L'occorrenza di quel soggetto proprio qui è fedele all'intima natura del Vangelo. L'Apostolo ha appena fatto il conto della ricchezza della salvezza e l'ha rivendicata tutta, come proprietà presente ed eterna, per sé e per i suoi fratelli nel Signore. Giustificazione della giustizia, libertà dal peccato in Cristo, Spirito insito, amore elettivo, venuta e gloria certa, tutto è stato raccontato, affermato e abbracciato.

"È egoista", questa grande gioia del possesso e della prospettiva? Lo dicano quelli che vedono queste cose solo da fuori. Fai prova di ciò che sono al loro interno, entra in essi, impara tu stesso cosa significa avere pace con Dio, ricevere lo Spirito, aspettare la gloria eterna; e scoprirai che nulla è così sicuro di espandere il cuore verso gli altri uomini come la ricezione personale in esso della Verità e della Vita di Dio in Cristo.

È possibile mantenere un vero credo ed essere spiritualmente egoisti anali. Ma è possibile che sia così, quando non solo si tiene il credo, ma si accoglie con stupore e grande gioia il Signore di esso, il suo Cuore e la sua Vita? L'uomo le cui certezze, le cui ricchezze, la cui libertà sono tutte consapevolmente «in Lui», non può non amare il prossimo, e desidera ardentemente che anche lui entri «nel segreto del Signore».

Così San Paolo, proprio a questo punto dell'Epistola, si volge con una particolare intensità di dolore e di anelito verso l'Israele che un tempo aveva condotto e che ora ha lasciato, perché non sarebbero venuti con lui a Cristo. Le sue simpatie naturali e spirituali vanno tutte allo stesso modo a questo popolo afflitto, così privilegiato, così divinamente amato e ora così cieco. Oh, che potesse offrire qualunque sacrificio che li portasse riconciliati, umiliati, felici, ai piedi del vero Cristo! Oh, che potessero vedere l'errore della loro stessa via di salvezza, e sottomettersi alla via di Cristo, prendendo il Suo giogo, e trovando riposo per le loro anime! Perché non lo fanno? Perché non brilla su di loro la luce che lo ha convinto! Perché l'intero Sinedrio non dovrebbe dire: "Signore, cosa vorresti che facessimo?" Perché la bella bellezza del Figlio di Dio non fa sì che anche loro "contino tutto tranne la perdita" per Lui? Perché le voci dei Profeti non si dimostrano loro, come fanno ora a Paolo, assolutamente convincenti delle pretese storiche oltre che spirituali dell'Uomo del Calvario? La promessa è fallita? Dio ha chiuso con la razza alla quale ha garantito una tale perpetuità di benedizione? No, non può essere.

Guarda di nuovo, e vede in tutto il passato un lungo avvertimento che, mentre un cerchio esterno di benefici potrebbe influenzare la nazione, il cerchio interno, la luce e la vita di Dio davvero, abbracciava solo "un residuo"; anche dal giorno in cui Isacco e non Ismaele fu fatto erede di Abramo. E poi medita sul mistero impenetrabile del rapporto della Volontà Infinita con le volontà umane; si ricorda come, in modo inconoscibile le ragioni piene (ma sono buone, perché sono in Dio), la Volontà Infinita ha a che fare con il nostro volere; genuino e responsabile anche se la nostra volontà è.

E davanti a quel velo opaco si riposa. Egli sa che dietro di esso ci sono solo la giustizia e l'amore; ma sa che è un velo, e che davanti ad esso il pensiero dell'uomo deve cessare e tacere. Il peccato è tutta colpa dell'uomo. Ma quando l'uomo si allontana dal peccato è tutta misericordia di Dio, gratuita, speciale, distintiva. Taci e confida in Lui, o uomo che Egli ha fatto. Ricorda, Egli ti ha creato. Non solo è più grande di te, o più forte; ma Egli ti ha fatto. Sii ragionevolmente disposto a confidare, da lontano, nelle ragioni del tuo Creatore.

Poi si volge di nuovo con nuovi rimpianti e aneliti al pensiero di quel meraviglioso Vangelo che era destinato a Israele e al mondo, ma che Israele ha rifiutato, e ora vorrebbe frenare il suo cammino verso il mondo. Infine, ricorda il futuro, ancora pieno di promesse eterne per la razza eletta, e per mezzo di esse pieno di benedizioni per il mondo; finché, dalla perplessità e dall'angoscia, e dal naufragio delle attese un tempo ardenti, risorge infine in quella grande dossologia in cui benedice l'Eterno Sovrano per il mistero stesso delle sue vie, e lo adora perché è il suo stesso fine eterno.

Verità dico in Cristo, parlando come il membro del Veritissimo; Io non mento, la mia coscienza, nello Spirito Santo, informata e governata da Lui, portandomi contemporaneamente testimonianza - l'anima dentro affermando a se stessa la parola detta fuori agli altri - che ho un grande dolore, e il mio cuore ha un dolore incessante, sì, il cuore in cui Romani 5:5 lo Spirito ha "versato" l'amore e la gioia di Dio; c'è spazio per entrambe le esperienze nelle sue profondità umane.

Desideravo infatti, io stesso, essere anatema da Cristo, essere devoto all'eterna separazione da Lui; orribile sogno di estremo sacrificio, reso impossibile solo perché significherebbe rapina da parte del Signore che lo aveva comprato; un suicidio spirituale mediante il peccato, per amore dei miei fratelli, i miei parenti carnali. Poiché sono (οιτινες εισιν) Israeliti, portatori del glorioso nome teocratico, figli del "Principe con" Genesi 32:28 ; la loro è l'adozione, la chiamata ad essere la razza filiale di Geova, "Suo figlio, il suo primogenito" Esodo 4:22dei popoli; e la gloria, la Shechinah dell'Eterna Presenza, vista sacramentalmente nel Tabernacolo e nel Tempio, si è diffusa spiritualmente sulla razza; e le alleanze con Abramo, Isacco, Levi, Mosè, Aaronne, Fineas e Davide; e la Legislazione, il Santo Codice Morale, e il Rituale, con il suo simbolismo divinamente ordinato, quella vasta Parabola di Cristo, e le Promesse, della "terra amena", e il favore perpetuo, e il Signore che viene; loro sono i Padri, i patriarchi, i sacerdoti ei re; e da loro, quanto a ciò che è carnale, è il Cristo, -Colui che è sopra tutte le cose, Dio, benedetto in eterno. Amen.

Si tratta infatti di uno splendido albo d'oro, recitato su questa razza "separata tra le nazioni", una razza che oggi come sempre resta l'enigma della storia, da risolvere solo con la Rivelazione. "Gli ebrei, Vostra Maestà", fu la risposta del vecchio cortigiano credente di Federico il Grande, quando gli furono chiesti con un sorriso le credenziali della Bibbia; la risposta breve mise a tacere il Re Enciclopedista. È davvero un enigma, fatto di fatti indissolubili, questo popolo ovunque disperso, eppure ovunque individuale; scribi di un Libro che ha profondamente influenzato l'umanità, e che è riconosciuto dalle razze più diverse come un augusto e legittimo pretendente divino, eppure loro stessi, in tanti aspetti, provinciali al cuore; storici delle proprie glorie, ma almeno ugualmente della propria indegnità e disonore; trasmettitori di predizioni che possono essere disprezzate, ma non possono mai, nel loro insieme, essere spiegate, ma ostinati negazionisti del loro maestoso adempimento nel Signore della cristianità; umano in ogni sua colpa e imperfezione, eppure così preoccupato di portare all'uomo il messaggio del Divino che Gesù stesso disse di loro: "SalvezzaGiovanni 4:22 viene dagli ebrei.

"Su questa meravigliosa razza questo suo membro più illustre (dopo il suo Signore) qui fissa i suoi occhi, pieni di lacrime. Vede passare davanti a lui le loro glorie - e poi si rende conto dello squallore spirituale e della miseria del loro rifiuto del Cristo di Dio. Egli geme, e nella vera agonia chiede come possa essere. Una cosa sola non può essere; le promesse non sono fallite; non c'è stato alcun fallimento nel Promettitore. Ciò che può sembrare tale è piuttosto l'interpretazione errata della promessa da parte dell'uomo.

Ma non è come se fosse stata cacciata via la parola di Dio, quella «parola» il cui onore divino gli era più caro di quello del suo popolo. Perché non tutti quelli che vengono da Israele costituiscono Israele; né, poiché sono discendenza di Abramo, sono tutti suoi figli, nel senso della vita familiare e dei diritti; ma "In Isacco una discendenza ti chiamerà"; Genesi 21:12 Isacco, e nessun figlio generato dal tuo corpo, è il padre di coloro che tu rivendicherai come razza del tuo patto.

Vale a dire, non i figli della sua carne sono i figli del suo (του) Dio; no, i figli della promessa, indicati e limitati dai suoi termini sviluppati, sono considerati seme. Perché della promessa questa era la parola. Genesi 18:10 ; Genesi 18:14 "Secondo questo tempo io verrò, e Sara, lei e non alcuna tua sposa; né Agar, né Keturah, ma Sara, avrà un figlio.

E la legge dei limiti non si fermò qui, ma contrasse ancora una volta il flusso della filiazione anche fisica: Né solo così, ma anche Rebecca - essendo incinta, con figli gemelli, di un marito - nessun problema di parentela complessa, come con Abramo, che si verifica qui - anche di Isacco nostro padre, appena nominato come l'erede prescelto - (perché fu mentre non erano ancora nati, mentre non avevano ancora mostrato alcuna condotta buona o cattiva, affinché il proposito saggio di Dio potesse rimanere, unico e sovrano, non basato su opere, ma interamente sul Chiamante) - le fu detto, Genesi 25:23 "Il maggiore sarà schiavo del minore". Come sta scritto, nel messaggio del profeta un millennio più tardi, "Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù", lo ripudio come erede.

Quindi il limite è sempre corso insieme alla promessa. Ismaele è il figlio di Abramo, ma non suo figlio. Esaù è figlio di Isacco, ma non suo figlio. E sebbene rintracciamo in Ismaele ed in Esaù, man mano che crescono, caratteristiche che possono sembrare spiegare la limitazione, in realtà ciò non funzionerà. Per il prescelto in ogni caso ha anche le sue evidenti caratteristiche sfavorevoli. E tutto il tono della cronaca (per non parlare di questa sua interpretazione apostolica) guarda al mistero, non alla spiegazione.

La "profanità" di Esaù fu l'occasione concomitante, non la causa, della scelta di Giacobbe. Il motivo della scelta risiedeva nell'intimo di Dio, quel Mondo "oscuro con eccesso di luminoso". Tutto è bene lì, ma non per questo tutto è sconosciuto.

Così siamo condotti fino alla porta chiusa del santuario della Scelta di Dio. Toccalo; è adamantino e si blocca rapidamente. Nessun Destino cieco ha girato la chiave e l'ha persa. Nessun inaccessibile tiranno siede all'interno, giocando a se stesso entrambi i lati di un gioco del destino, e indifferente al grido dell'anima. Il Portachiavi, il cui nome è inciso sul portale, è "Colui che vive, ed era morto, ed è vivo per sempre".

Apocalisse 1:18 E se ascolti sentirai parole dentro, come la voce dolce e profonda di molte acque, ma di un Cuore eterno; "Io sono quello che sono; voglio quello che voglio; fidati di me". Ma la porta è chiusa a chiave; e la Voce è mistero.

Ah, che agonie si sono sentite nelle anime umane, quando gli uomini hanno guardato quella porta, e meditato l'ignoto interno! L'Eterno conosce, con infinita bontà e simpatia, il dolore indicibile che può assalire la creatura quando lotta con la sua Eternità, e cerca di stringerla con entrambe le mani, e di dire che "questo è tutto!" Non troviamo certo nella Scrittura qualcosa di simile a un inno per quel terribile senso dell'ignoto che può accumularsi sull'anima attratta - irresistibilmente come a volte sembra essere - nei problemi della Scelta di Dio, e oppressa come con " il peso di tutti i mari su di esso", dalle stesse domande poste qui dall'Apostolo.

Il Signore conosce, non solo la Sua volontà, ma il nostro cuore, in queste cose. E dove si rifiuta del tutto di spiegare (sicuramente perché non siamo ancora maggiorenni per capirlo se lo ha fatto) ci mostra ancora Gesù, e ci invita a incontrare il silenzio del mistero con il silenzio di una fiducia personale nel Personaggio personale rivelato in lui.

In qualcosa di tale immobilità, ci avvicineremo ora al paragrafo che segue? Ascolteremo, non per spiegare, nemmeno per molto da spiegare, ma per sottometterci, con una sottomissione che non è un risentimento represso ma un totale affidamento? Troveremo che tutta la faccenda, nel suo aspetto pratico, ha una voce abbastanza articolata per l'anima che vede Cristo e crede in Lui. Dice a quell'anima: "Chi ti fa differire? Chi ti ha modellato per onorare? Perché non stai ora, come una volta, rigettando colpevolmente Cristo, o, che è lo stesso, rimandandolo? Grazie a colui che ti ha costretto ', ma senza violazione di te stesso, 'entrare.

' Vedi nella tua scelta di Lui la Sua misericordia su di te. E ora, cadi ai suoi piedi, per benedirlo, per servirlo e per confidare in lui. Pensa male di te stesso. Pensa con riverenza agli altri. E ricorda (l'Infinito, che ti ha scelto, lo dice), non vuole la morte di un peccatore, ha amato il mondo, ti ordina di dirgli che lo ama, di dirgli che è l'amore".

Adesso ascoltiamo. Con uno sguardo che parla di soggezione, ma non di apprensione, rivelando passate tempeste di dubbio, ma ora un riposo di fede, l'Apostolo detta ancora:

Cosa diremo dunque? C'è ingiustizia al bar di Dio? Via il pensiero. La cosa è, nel senso più profondo, impensabile. Dio, il Dio della Rivelazione, il Dio di Cristo, è un Essere che, se ingiusto, «cessò di essere», «nega se stesso». Ma il pensiero che le sue ragioni per una data azione dovrebbero essere, almeno per noi ora, un mistero assoluto, essendo Lui la Personalità Infinita, non è affatto impensabile.

E in tal caso non è irragionevole, ma la ragione più profonda, chiedere solo la Sua articolata garanzia, per così dire, che il mistero è fatto; che ne è cosciente, vivo (parlando umanamente); e che lo confessa come sua volontà. Perché quando Dio, il Dio di Cristo, ci ordina di "prendere la Sua volontà per questo", è una cosa diversa da un tentativo, per quanto potente, di spaventarci fino al silenzio.

È un promemoria di chi è colui che parla; l'Essere che ci è affine, che è in relazione con noi, che ci ha amati, ma che ci ha anche assolutamente fatti, e non può (perché siamo meri prodotti della sua volontà) renderci tanto suoi uguali da dirci tutto . Così l'Apostolo procede con un "per" di cui abbiamo già indicato il comportamento: Poiché a Mosè dice, Esodo 34:19 nel santuario oscuro del Sinai: "A chi avrò pietà io avrò pietà, e a chi avrò compassione compatirò" ; Il mio resoconto della mia azione salvifica si fermerà qui: sembra quindi che esso, l'ultimo resoconto della salvezza, non è di (poiché l'effetto è "della" prima causa) il più scaltro, né del corridore, il portatore di volere in lavoro, ma del Pitier - Dio.

Perché la Scrittura dice Esodo 10:16 al Faraone, quel grande esempio di peccato umano provocatorio, reale e colpevole, ma anche, contemporaneamente, della sovrana Scelta che lo condannò a percorrere la sua strada, e lo usò come un faro alla sua fine , "Per questo stesso scopo ti ho sollevato, ti ho fatto stare, anche sotto le piaghe, affinché io possa mostrare in te la mia potenza, e che il mio nome, come del Dio giusto che abbatte i superbi, possa essere detto lontano e largo in tutta la terra».

Quello del Faraone era un caso di fenomeni concomitanti. C'era un uomo lì da una parte, volontariamente, deliberatamente e molto colpevolmente, combattendo con il diritto, e giustamente portando rovina sulla propria testa, interamente di se stesso. Dio era lì invece, a fare di quell'uomo un monumento non di grazia ma di giudizio. E quel lato, quella linea, qui è isolata e trattata come se fosse tutto.

Appare allora che chi gli piace, ha pietà, e chi gli piace, lo indurisce, in quel senso in cui ha «indurito il cuore del faraone», «l'ha reso duro», «l'ha reso pesante», «l'ha reso duro». condannandolo a fare a modo suo. Sì, quindi "appare". E al di là di questa deduzione non possiamo fare altro che pensare che il soggetto di quella misteriosa "volontà", Colui che così "piace", "commisera" e "indurisce", non è altro che il Dio di Gesù Cristo. .

Può essere, non solo sottomesso, ma confidato, in quell'inconoscibile sovranità della Sua volontà. Ma ascolta la domanda che parla del problema di tutti i cuori: "Mi dirai dunque, perché ancora, dopo una tale confessione della sua sovranità, addolcisce questo cuore, indurisce quello, perché trova ancora da ridire?" Ah, perché? Per il suo atto di volontà chi ha resistito? (No, tu hai resistito alla Sua volontà, e così ho fatto io. Non una parola dell'argomento ha contraddetto il fatto primario della nostra volontà, né quindi la nostra responsabilità.

Ma questo non lo porta qui.) Anzi, piuttosto che assumere un simile atteggiamento di logica ristretta e impotente, pensa più a fondo; anzi, o uomo, o semplice essere umano, tu chi sei tu che rispondi al tuo Dio? La cosa formata dirà al suo Primo: Perché mi hai fatto così? Non ha il vasaio autorità sulla sua argilla, dalla stessa massa impastata per fare questo vaso per l'onore, ma quello per il disonore? Ma se Dio, compiacendosi di dimostrare la sua ira e di mettere in evidenza ciò che può fare, cosa farà S.

Paolo continua a dire? Che l'Eterno, essendo così "contento", ha creato degli esseri responsabili apposta per distruggerli, ha dato loro personalità e poi li ha costretti a trasgredire? No, non lo dice. L'illustrazione severamente semplice, di per sé una delle espressioni meno sollevate di tutta la Scrittura - che terrore Potter e la sua argilla impastata! - cede, nella sua applicazione, a un'affermazione dell'opera di Dio sull'uomo piena di significato nella sua variazione .

Ecco, infatti, ancora i "vasi"; ei vasi "per l'onore" sono tali a causa della "misericordia", e la Sua stessa mano li ha "preparati alla gloria". E ci sono i vasi "per il disonore", e in un senso di terribile mistero sono tali a causa dell'"ira". Ma l'«ira» del Santo può cadere solo sul demerito; così questi "vasi" hanno meritato il Suo dispiacere di se stessi. E sono "preparati alla rovina"; ma dov'è la menzione della sua mano che li prepara? E intanto «li sopporta con molta pazienza.

ma anche dai Gentili? Perché mentre l'Israele diretto, con il suo privilegio e il suo apparente fallimento, è qui per primo in vista, dietro di esso sta il fenomeno dell'"Israele di Dio", gli eredi celesti dei Padri, una razza non di sangue, ma dello Spirito.

La grande Promessa, nel frattempo, si era posta verso quell'Israele come suo scopo finale; e ora dà prova dai Profeti che questa intenzione è stata rivelata almeno a metà lungo tutta la linea della rivelazione.

Come in realtà nel nostro Osea Osea 2:23 , Ebrei 2:5 nel libro che conosciamo come tale, Egli dice: "Chiamerò quello che non era il mio popolo, il mio popolo; e il non amato, amato. E [un altro Oracolo di Oseo, in linea con il primo] sarà, nel luogo dove fu detto loro: Non siete il mio popolo, là saranno chiamati figli del Dio vivente.

In entrambi i luoghi la prima incidenza delle parole è sulla restaurazione delle Dieci Tribù alle benedizioni dell'alleanza. Ma l'Apostolo, nello Spirito, vede un riferimento ultimo e soddisfacente a un'applicazione più vasta dello stesso principio; il portare i ribelli e bandì quelli di tutta l'umanità nell'alleanza e nella benedizione.

Nel frattempo i Profeti che preannunciano quel grande raduno indicano con uguale solennità il fallimento spirituale di tutti tranne una frazione degli eredi diretti della promessa. Ma Isaia grida su Israele: "Se il numero dei figli d'Israele sarà come la sabbia del mare, solo il rimanente sarà salvato; poiché come colui che completa e taglia corto, il Signore compirà la sua opera sulla terra". Ecco ancora una prima e una seconda incidenza della profezia.

In ogni tappa della storia del Peccato e della Redenzione l'Apostolo, nello Spirito, vede un embrione del grande Sviluppo. Così, nel numero tristemente limitato degli esuli che tornarono dalla vecchia prigionia, vede incarnata la profezia della pochezza dei figli d'Israele che ritorneranno dall'esilio dell'incredulità al loro vero Messia. E come ha predetto Isaia 1:9 , così è; "A meno che il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, come Sodoma eravamo diventati, e a Gomorra eravamo stati somigliati".

Tale era il mistero dei fatti, sia nella storia più antica che in quella successiva di Israele. Un residuo, ancora un residuo, non le masse, è entrato in eredità di tale ampia disposizione, e così sinceramente offerto. E dietro questo c'era l'ombra insolubile entro la quale si cela il rapporto della Volontà Infinita con le volontà degli uomini. Ma anche, di fronte al fenomeno, non nascosto da nessuna ombra se non quella proiettata dal peccato umano, l'Apostolo vede e registra le ragioni, in quanto risiedono nella volontà umana, di questa «salvezza di un residuo.

Le promesse di Dio, da sempre, e ora supremamente in Cristo, erano state condizionate (era nella natura delle cose spirituali che fosse così) dalla sottomissione alla Sua via di compimento. Il dono d'oro era lì, nel più di mani generose, tese per dare. Ma poteva essere messo solo in una mano che riceveva, aperta e vuota. Non poteva essere preso solo da una fede sottomessa e dimentica di sé. E l'uomo, nella sua caduta, aveva stravolto la sua volontà per tale azione.

Era meraviglioso che, per sua colpa, non avesse ricevuto? Cosa diremo dunque? Ebbene, che i Gentili, sebbene non perseguissero la giustizia, sebbene nessun Oracolo li avesse messi sul sentiero di una vera accettazione e salvezza divina, raggiunsero la giustizia, la comprendevano una volta rivelata, ma la giustizia che risulta dalla fede; ma Israele, perseguendo una legge di rettitudine, mirando a quello che è, per l'uomo caduto, la meta impossibile, un perfetto incontro dell'unico principio di accettazione della Legge, "Fai questo e vivrai", non ottenne quella legge; vale a dire, in pratica, mentre esaminiamo ora la loro storia di vani sforzi nella linea del sé, non raggiunsero l'accettazione per la quale quella legge doveva essere la via.

Il fariseo in quanto tale, ad esempio il fariseo Saulo di Tarso, non aveva pace con Dio, né osava pensare di averlo, nel profondo della sua anima. Conosceva abbastanza l'ideale divino da essere irrimediabilmente a disagio per la sua realizzazione. Poteva dire, abbastanza rigidamente: "Dio, ti ringrazio"; Luca 18:11 ; Luca 18:14 ma "scese a casa sua" infelice, insoddisfatto, ingiustificato.

Per quale conto? Perché non era per fede, ma come per opere; nel sogno inquieto che l'uomo deve, e potrebbe, elevare il punteggio di merito a una valida pretesa. Inciamparono nella Pietra del loro inciampo; così com'è scritto, Isaia 8:14 ; Isaia 28:16 in un passaggio in cui è in vista la grande Promessa perpetua, e dove si vedono i ciechi rifiutarla come punto d'appoggio a favore della politica, o del formalismo, Ecco, io metto a Sion, nel centro stesso della luce e privilegio, una pietra di inciampo e una roccia di sconvolgimento; e chi confida in lui, (o forse in esso), chi si riposa su di esso, su di lui, non sarà confuso.

Almeno un grande rabbino, Rashi, del XII secolo, testimonia alla mente della Chiesa ebraica il significato di quella mistica Roccia. "Ecco", così recita la sua interpretazione, "io ho stabilito un Re, un Messia, che sarà in Sion una pietra di prova".

La profezia si è mai verificata più profondamente nell'evento? Non solo per l'Israele lineare, ma per l'Uomo, il Re Messia è, come sempre, la Pietra dell'inciampo o del fondamento. Egli è, come sempre, "un Segno controverso". Egli è, come sempre, la roccia dei secoli, dove il credente peccatore si nasconde, riposa e costruisce,

"Sotto il segno della tempesta del cielo, sopra il segno del diluvio degli abissi."

Abbiamo saputo cosa significa inciampare su di Lui? "Non avremo quest'Uomo a regnare su di noi"; "Non siamo mai stati schiavi di nessun uomo; chi è colui che dovrebbe liberarci?" E siamo ora sollevati da una Mano di gentilezza onnipotente in un luogo profondo nelle Sue fenditure, al sicuro sulla Sua vetta, "senza sapere" per la pace della coscienza, la soddisfazione del pensiero, la liberazione della volontà, l'abolizione della morte, "ma Gesù Cristo e lui crocifisso"? Pensiamo poi con sempre umile simpatia a coloro che, per qualsiasi ragione, ancora «abbandonano la propria misericordia».

Giovanni 2:8 E informiamoli dove siamo, e come siamo qui, e che "la terra è buona". E per noi stessi, per poterlo fare meglio, rileggiamo spesso la semplice, forte assicurazione che chiude questo capitolo di misteri; "Chi confida in Lui non sarà deluso"; "non rimarrai deluso"; "non deve", nella vivida frase dell'ebraico stesso, "affrettarsi.

No, non ci "fretteremo". Da quel Luogo sicuro non ci sarà mai bisogno di una frettolosa ritirata. Quella Fortezza non può essere espugnata, non può essere sorpresa, non può crollare. Perché "È LUI"; il Figlio, l'Agnello, di Dio, la Giustizia eterna del peccatore, l'immancabile Fonte di pace, di purezza e di potenza del credente.

NOTA DISTACCATA A Romani 9:5

IL seguente è trascritto, con alcune modifiche, dal Commento dell'autore all'Epistola in "The Cambridge Bible":

"[Chi è sopra tutto, Dio benedetto per sempre.] Il greco può, con più o meno facilità, essere tradotto (1) come in AV; o (2) 'chi è Dio sopra tutto', ecc.; o (3) 'benedetto per sempre Colui che è Dio su tutti' (cioè, il Padre Eterno) Se adottiamo (3) prendiamo l'Apostolo per essere condotto, dalla menzione dell'Incarnazione, a pronunciare una dossologia improvvisa e solenne al Dio che ha dato quel coronamento di misericordia. In favore di questo è sollecitato (da alcuni commentatori interamente ortodossi, come H.

AW Meyer) che San Paolo in nessun altro luogo chiama il Signore semplicemente "Dio", ma piuttosto "il Figlio di Dio", ecc. Con questo non intendono sminuire la Divinità del Signore; ma essi sostengono che San Paolo afferma sempre in modo tale che la Divinità, sotto la guida divina, segna la 'Subordinazione del Figlio', quella Subordinazione che non è una differenza di Natura, Potere o Eternità, ma di Ordine; così come è segnato dalle parole semplici ma profonde Padre e Figlio».

"Ma d'altra parte c'è Tito 2:13 , dove il greco è (almeno) perfettamente capace di rendere, 'il nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo.' C'è Atti degli Apostoli 20:28 , dove l'evidenza è molto forte per la lettura, conservata dal R.

V (testo) 'la Chiesa di Dio, che Egli acquistò col proprio sangue'. E se si deve prendere san Giovanni a riferire esattamente le parole, nel suo racconto della Risurrezione, in un episodio il cui punto è profondamente connesso con la precisione verbale, abbiamo uno dei primi Apostoli, entro otto giorni dalla Risurrezione, rivolgendosi al Signore risorto Giovanni 20:28 come 'mio Dio.

' (Richiamiamo l'attenzione su questo contro la tesi che solo gli ultimi sviluppi dell'ispirazione, rappresentati, ad esempio, nel Preambolo di San Giovanni al suo Vangelo, ci mostrano Cristo chiamato esplicitamente Dio.)"

«Se è divinamente vero che 'la Parola è Dio', è certamente tutt'altro che meraviglioso se qua e là, in peculiari nessi, [San Paolo] parlasse così di Cristo, anche se guidato a conservare un'altra fase della verità abitualmente in vista."

"Ora, al di là di ogni ragionevole dubbio, il greco qui è reso abbastanza naturalmente come nell'AV; se non fosse stato per una controversia storica, probabilmente, nessun'altra resa sarebbe stata suggerita. E infine, e ciò che è importante, il contesto è di gran lunga suggerisce un lamento (sulla caduta di Israele) piuttosto che un'attribuzione di lode e, ciò che è più significativo di tutti, suggerisce esplicitamente qualche esplicita allusione alla natura sovrumana di Cristo, con le parole "secondo la carne". Ma se c'è una tale allusione, allora deve trovarsi nelle parole, sopra tutto, Dio».

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